Ci sono dei momenti in cui siamo veramente liberi, luoghi autonomi (Temporary Autonomous Zone) in cui ci si puo’ sentire liberi
Nei nostri laboratori si creano questi luoghi per sperimentare giocare parlare di politica, di vita, di morte, di problemi, di creazione collettiva. Intervista a Gary Brackett
Gary Brackett, presentati ai lettori di Controcampus.
“Ciao sono Gary Gary Brackett, sono cresciuto nel North Carolina nella cittadina di Rocky Mouth. Mi sono laureato in Scienze Politiche all’Università del North Carolina a Chapel Hill. Da piccolo suonavo il piano grazie a mia madre, che mi ha incoraggiato. E già lì ho trovato una certa magia al di là della vita che mi permettesse di esprimermi mediante l’arte. Tra l’altro lei insegnava spagnolo ed era appassionata di arte spagnola, in casa avevamo riproduzioni di quadri di pittori spagnoli. Forse per questo sono anche pittore. Andai a vivere a Boston dove ho seguito questa idea di vivere insieme con altri artisti in una comune, così con un gruppo di amici abbiamo creato questo collettivo di artisti presentando eventi totali che comprendessero varie forme di espressione alcuni di noi facevano teatro di Fo, Ionesco, teatro dell’assurdo. Era un gruppo molto politico,è in quel periodo che ho letto il Manifesto del Partito Comunista e sono diventato un universitario comunista. Non eravamo stalinisti o maoisti, ma piu’ bolscevichi, trotskijsti e leninisti, lavoravamo con gli operai organizzando incontri e manifestazioni.”
Raccontaci qualcosa sulla tua poetica e sul percorso che ti ha portato a costruirla. Come è stata influenzata da figure “living e “not living” incontrate durante la tua vita.
“In quel periodo durante un incontro conosco una ragazza, con cui abbiamo avuto una storia, un giorno a casa sua venne per caso un amico, Rain House del Living Theatre, che mi ha fatto vedere del materiale, testi e foto del Living Theatre. Questo incontro ha aperto in me qualcosa di molto forte che ancora risuona nella mia testa. L’idea di anarchismo, di un teatro politico in cui la forma teatrale e la forma politica coincidono. Così conobbi Rain che era gay, travestito, pellerossa, uomo nero, angelo, un folletto, una bella persona ormai scomparsa una anno fà, lui era entrato nella comunità del living theatre negli anni 50, e mi ha trasmesso questa grande influenza di Judith Malina e Julian Beck,io ero molto colpito dal Living. Ho seguito due strade, una senza di lui che si chiama Free Theatre Collective, e prima di quello Free Theatre Group con cui facevo i miei primi spettacoli: una tragedia di Majakowskij altre cose di Brecht e di Beckett. Parallelamente con Rain abbiamo fatto questi laboratori del Living nella forma che io continuo a portare avanti oggi, dopo un po’ lui è sparito da New York, dopo un soggiorno mio a Parigi con un ‘altro gruppo diretto da me, cercando sempre di lavorare sulla spinta dell Living Theatre secondo questa idea che un gruppo deve lavorare collettivamente, sono tornato a New York nel 1989 con una bandana nera sulla mia testa e sono andato ad incontrare Judith Malina nella sua casa di West End Avenue per lavorare subito dopo con loro nel nuovo spazio sulla terza strada nell’East Village”.
“Era un periodo molto intenso guidato anche da Hanon Reznickov anche lui scomparso l’anno scorso,e con loro due (Judith Malina e Hanon Reznickov – NdR), Tom Walker, Carlo Altomare, Mary Mary e altri componenti della compagnia abbiamo fatto 3-4 lavori molto forti in quel quartiere caldo di New York. Ed io ho cominciato a fare il tecnico delle luci, lo scenografo, il general manager,il direttore di scena, production manager e l’attore. E così queste persone carismatiche mi hanno portato a questa vita di oggi, insieme ad altre figure che non ho mai incontrato come Artaud, Brecht, Piscator.”..
So che hai molti progetti in giro per il mondo. Vuoi raccontarci di qualcuno di questi, e dei differenti problemi ed ostacoli che incontri in varie parti del mondo?
“Io ho sempre continuato a lavorare col Living, nella collettività. A New York era sempre difficile, non eravamo pagati, tutti lavorano gratis tranne qualcuno come me che lavorava 18 ore al giorno. Io facevo tutto per Judith e Hanon, tutto ciò che potevo, al Living non era rimasto nessuno che fosse un grande talento nel trovare denaro, dopo la scomparsa di Julian Beck. I miei gruppi e progetti ormai hanno tutti lo stesso problema, non c’e’ spazio nel mondo di oggi per la creatività. Il sistema in cui viviamo non permette di avere del tempo libero in cui le persone possono impegnarsi in grandi lavori come quelli del Living Theatre. I loro grandi lavori sono molto collettivi, e questo e l’altro lato del problema: come puo’ un gruppo di persone lavorare in modo collettivo? Io ho avuto vari gruppi da Napoli , Roma, Trieste, Bologna. Ho sempre cercato di ispirare gruppo a lavorare collettivamente. E questo pone subito il problema dell’autorità del regista, io sentivo la responsabilità per la qualità del lavoro, e questo spesso crea problemi perchè le altre persone vogliono essere parte del processo creativo, io non voglio essere “il capo” ma voglio che il lavoro vada in un certo tipo di direzione. E questo è un problema tipico del nostro tipo di teatro, che altri gruppi di teatro non hanno perchè la tirannia del regista è una cosa che non si sfida, invece nel Living Theatre abbiamo sempre cercato di sfidare questa gerarchia in teatro. I gruppi si formano e dopo un paio di anni crollano, è un processo naturale ed organico si puo’ dire, e così è anche per il Living. Noi abbiamo avuto un posto a Rocchetta Ligure, sul mio blog racconto come l’abbiamo perso, era uno spazio ideale, abbiamo creato lì nuovi spettacoli come “Resistenza” senza il sostegno di amministrazioni, comune, provincia…non c’era mai abbastanza denaro per lavorare quindi eravamo sempre lì ad aspettare l’occasione per portare il nostro spettacolo in giro fuori dal palazzo, o avere denaro a sufficienza per impegnarci in un nuovo spettacolo. Andrebbe bene anche uno spazio temporaneo autonomo, una idea di Hakim Bay grande scrittore amico del Living Theatre, che ha detto che ci sono dei momenti in cui siamo veramente liberi (Temporary Autonomous Zone), che si puo’ creare un luogo autonomo in cui ci si puo’ sentire liberi. Nei nostri laboratori si crea questo luogo per sperimentare giocare parlare di politica, di vita, di morte, di problemi, di creare insieme collettivamente. Questi gruppi ormai durano una settimana a volte un po’ di piu’. Le città sono molto problematiche per la vita costosa, il traffico l’inquinamento, in campagna si sta bene per il contatto con la natura, l’ambiente pulito ma ci sono scarse possibilità di sostentamento del gruppo, e quindi qual è l’equilibrio tra queste due situazioni? Lo stiamo ancora cercando..”
Hai mai trovato un posto ideale per lavorare? O semplicemente il mondo è il tuo posto? Perchè un giorno hai deciso di lasciare la tua città natale e cominciare a viaggiare?
“Vengo da Rocky Mount un piccolo paese dove non c’e’ niente, lavoro come tutti devono fare e come io ho sempre fatto ,ristorante dopo ristorante.Ad un certo punto sentivo nella mia anima e nelle mie ossa che da lì dovevo andar via. Anche dopo l’università in Chapel Hill, una bella scuola d’arte, ci sono belle Università nel sud-est degli Stati Uniti, ma io sentivo che dovevo andare a New York city, sono passato prima da Boston, ma poi mi sono trovato a New York con il Living Theatre, quindi chissà cosa ci spinge a lasciare le nostre radici e andare in giro. C’e’ un personaggio nella nostra mitologia statunitense che si chiama Johnny Appleseeds che vuol dire Giovanni Semidimela che va in giro con un sacchetto di semi piantandoli in giro per gli Stati Uniti. Io sento di condividere i semi che il Living Theatre ha regalato a me ed agli altri attraverso oltre duecento laboratori.”
Una grande e buona parte del messaggio del living raggiunge la gente in tutto il mondo attraverso internet, per esempio attraverso I tuoi video, “Livingpoetry” è un valido esempio ed un buon tipo di interazione tra differenti forme di espressione artistica. Com’è il tuo punto di vista sull’interazione tra essere umano, tecnologia e natura?
“Ok confrontiamo queste idee di tecnologia e natura ed essere umano …”
“Io faccio video, dipingo, ed ho lasciato l’arte visiva per l’arte teatrale. E siccome mi piace il cinema, con la nuova tecnologia video, videocamera e computer e molto facile sviluppare un progetto video. La domanda è molto complessa a livello teatrale per esempio Piscator regista di Judith Malina, ha creato il suo teatro totale dicendo che il teatro deve utilizzare tutta la tecnologia disponibile. Video proiettori , diapositiva, scala mobile, ogni attrezzo deve essere sfruttato per portare avanti il norstro messaggio di cambiamento. Noi del Living non abbiamo utilizzato molto la tecnologia nella nostra storia, ma con il nostro nuovo spettacolo che si chiama “Eureka” c’era una sfida da parte mia con Judith di portare in scena la videocamera, abbiamo portato due videocamere con una scenografia dove il pubblico resta in piedi senza sedie si proietta sugli schermi l’uscita di un video mixer VJ, dove i video clip dei video artisti si mescolano con immagini in diretta.
Ciò che si vede dalla telecamera viene proiettato mischiato con i videoclip. Qusta è una cosa nuova per il Living Theatre, molto tecnologica, con luci, computer-music, 7 tecnici, 12 attori. Alla prova generale Judith era in crisi: “Questo non è teatro è cinema!” ha detto, perchè non riusciva a trovare un equilibrio tra gli schermi e quello che facevano gli artisti…Ma lei era l’unica persona che aveva questo punto di vista perchè tutti pensavano di avere raggiunto una bella cosa portando sullo schermo, il mondo atomico, il mondo della natura, il mondo spaziale, il mondo astratto, tutto mischiato col filo di questo spettacolo, “Eureka” un saggio cosmologico scritto da Edgar Allan Poe. Siamo andati avanti ed io ho visto che il pubblico non era sottomesso a una qualche “tirannia tecnologica”. C’era un bellissimo equilibrio, anzi mi sembrava che gli spettatori non guardassero abbastanza il mio lavoro. Quindi lì abbiamo raggiunto un ottimo equilibrio tra la tecnologia i nostri corpi e la partecipazione del pubblico, perchè quello è uno spettacolo in cui il pubblico deve agire con corpo e voce.”
“Ma oltre tutto questo problema del rapporto tra tecnologia, natura e uomo, è un problema a me molto vicino. Adesso sto creando un nuovo spettacolo e un nuovo laboratorio. Il laboratorio si chiama Teatro migliorativo/Teatro Verde. Teatro migliorativo è un teatro che fa qualcosa utile ,come disse Judith, per migliorare le cose. Teatro verde perchè si vuole confrontare con il problema della distruzione dell’ambiente che viene dalla tecnologia, ogni tecnologia ha un suo lato positivo ma spesso ha un lato terribile come nel caso del nucleare, ovviamente la bomba atomica, ora i mass media sfruttano questa tecnologia attraverso la tv questa scatola di bugie che crea un frenetico bisogno di consumismo dove la nostra consapevolezza è legata al mercato, il nostro essere quello che crediamo di essere viene trasmesso dalla pubblicità, e dalla real tv che trasmette la bugia di competizioni tra le persone in cui uno per vincere deve perdere. Noi abbiamo sempre lottato contro questo.”
“La tecnologia, per quanto mi riguarda, può essere una tecnologia verde, ma ormai siamo fuori dall’equilibrio, volevo chiamare il mio spettacolo Green Terror non si affronterà solo il sempre piu’ grave disastro ecologico in cui la terra stessa e tutto ciò che vive è a rischio, ma anche il fallimento dell’approccio razionale, scientifico alla vita, perchè la scienza per tutto il suo sviluppo attuale è una minaccia, un Frankenstein, un sistema che crea finti bisogni funzionali al capitalismo.”
“Quindi abbiamo perso il contatto e siamo sempre piu’ lontani dalla natura, dalla terra, e quindi l’idea di questo spettacolo e di questo laboratorio è quella di cercare i nuovi miti i nuovi riti, insomma di realizzare il nuovo paradigma di vita, perchè dobbiamo, perchè la crisi economica, la crisi dell’ambiente, le carestie, la continuazione della schiavitù il lavoro ed il sistema di classe, questi magnacci del capitale (pimps of capital) e le loro prostitute della scienza che ci hanno portato ad un mondo dove non si puo’ respirare, non si puo’ nuotare. Stiamo andando verso una tecnologia sempre piu’ lontana dal corpo, dalla presenza dei muscoli, del sangue, del respiro, che si perde nello schermo. Il mondo ormai è 24 ore su 24 attraverso internet le crisi sono simultanee. In Corea del Nord quando scoppierà la prossima bomba atomica lo sapremo tutti subito. La tecnologia ha creato un mondo senza orizzonte, un idea di Paul Virilio, lui disse che l’orizzonte viene coperto da uno schermo. Questa è un’idea che scrivo nel mio spettacolo su una nuova Giovanna D’Arco. Quindi dobbiamo confrontarci con un ritorno alla natuara ma non si puo’ tornare indietro quindi l’unica soluzione è trovare un nuovo rapporto con i nostri corpi, un nuovo rapporto con gli animali, con le piante ed i minerali e con la terra stessa che, chissà, forse è anch’essa una cosa vivente…”
Dov’e’ per te la linea di demarcazione tra virtuale e reale, entrambi intesi in un senso ampio? Pensi che tra loro esista una soglia?
“La tecnologia crea una realtà virtuale che non è reale è elettronica 01 001 con questi linguaggi del computer che ci portano lontano dal corpo, poi c’è una virtualità intesa in senso antico, penso tu intenda questa, con le varie divisioni tra i vari modi di essere in questa realtà in cui ci troviamo adesso. Credo che noi esseri umani abbiamo sviluppato la nostra evoluzione perchè c’e’ un bisogno dello spirito creativo dell’universo, Dio se vuoi, che ci ha portato ad essere consapevoli. Ma noi abbiamo questa consapevolezza grazie all’aiuto della terra delle piante senza di loro noi non esisteremmo…”
“Se noi andiamo oltre questi problemi politici e risolviamo i nostri problemi economici, di salute, di alimentazione, di lavoro, di vita, possiamo cominciare il passaggio successivo. Siamo in un periodo di grande emergenza in cui dobbiamo confrontarci con questa nuova crisi economica globale in cui i capi del capitalismo stanno cercando di fottere di nuovo il genere umano con un nuovo nazionalismo, nuove guerre, finte crisi. La tecnologia in teoria puo’ risolvere tutti questi problemi di scarsezza “Post Scarcity Anarchismo” quindi loro stanno cercando di tenere con tutte le loro forze un vecchio mondo di gerarchie di classe di riccheza sulle spalle dei poveri e noi dobbbiamo dire di no e stiamo andando verso un’altra realtà speriamo di pace . Quindi tecnologia è una parte di questo, ma dobbiamo anche tornare alla nostra natura e non perdere il contatto: contatto umano, con gli animali, con le piante, e col pianeta.”
Alcune idee, concetti e valori sono eterni e non dovrebbero essere mai dimenticati, ma cosa diresti a chi vuole catturare nella cornice di “vecchie ideologie” cose come pace, amore e rispetto per tutte le creature?
“Parliamo delle vecchie ideologie, come è successo a Torino, perchè sono molto deluso che continuiamo a lottare con la polizia, con queste vecchie ideologie di lotta armata, con i sassi, le pietre contro i poliziotti, è una mancanza di rispetto e di immaginazione da parte degli studenti, anche Pasolini aveva affrontato questo problema, questi figli di papà che non hanno niente nel loro cuore tranne che confusione e noia, come diceva Pasolini cercano un nuova partita contro la polizia, che non ci porta da nessuna parte. Quindi sono gli artisti che devono dare una nuova idea di lotta tramite l’arte, la cultura, teatro, musica, poesia che porta non a Hollywood, Cinecittà, al teatro stabile, ma a cercare di creare un’arte al servizio del movimento popolare. Perchè dobbiamo smettere di combattere contro la polizia, dobbiamo dare rispetto, pace, amore per tutte le creature perchè anche loro sono incastrate in questo sistema. Non possiamo lasciare nessuno indietro creando nuovi nemici, c’e’ un movimento forte di pacifisti di artisti che mostrano ai giovani che ci sono sono altri metodi di lotta, con l’uso dell’immaginazione, la pace il rispetto per tutti.”
Parliamo del tuo ultimo viaggio in Palestina. Puoi dirci qualcosa sulle tue impressioni ed interazioni con la gente di quei luoghi?
“La Palestina è stata una brutta/bella esperienza perchè USA ed Europa Italia continuiamo a sostenere uno stato che crea un Apartheid, un terremoto , la spaccatura, la frattura dovuta ad un problema economico. Non voglio dire che i Palestinesi non abbiano torto , anche loro hanno commesso tanti errori , ma si puo’ capire perchè. Delle persone che vivono in condizioni da terzo, quarto, quinto mondo a fianco a loro. E’ una cosa fuori ogni etica cio’ che sta facendo lo stato di israele nei confronti dei Palestinesi.
Abbiamo trovato un popolo palestinese nobile rispettoso pacifico aperto con una bellissima energia, pronti a fare compromessi con gli israeliani, poi siamo andati anche a Tel-Aviv con gli attivisti israeliani, quindi ci sono molte persone lì che vogliono la pace, ma come in tutto il mondo siamo impotenti nei confronti della schiavitù dai mass-media che continuano a monopolizzare le idee. Quindi in Palestina l’impressione è quella di una crisi sempre maggiore con una sempre maggiore speranza di pace, quindi dobbiamo ricordare che Gaza ( e il West Bank) sono ancora sottomessa all’esercito israeliano. Dobbiamo continuare a lottare. Ho realizzato un video disponibile sul mio sito Video weekly.”
Quanto è grande l’impatto sociale di una performance teatrale? In altre parole, il teatro puo’ cambiare questo mondo in uno migliore? C’e’ uno spettacolo teatrale che ha cambiato la tua vita?
“Io non ho uno spettacolo specifico che ha cambiato la mia vita, credo non solo del Living Theatre ma ogni spettacolo. Se il teatro potesse cambiare il mondo sarebbe già successo, (If theatre could change the world it would have already happened), Piscator ha detto che la funzione dell’arte finisce col bisogno dell’arte, abbiamo l’arte perchè soffriamo, perchè c’e’ l’ingiustizia, perchè moriamo, c’e’ la tragedia della vita, che avremo sempre con noi quest’aspetto. Quindi l’arte è un modo di confrontarci con questo mondo e quindi continuiamo a confrontarci con un mondo ingiusto finchè non troviamo un mondo in cui non cominciamo a confrontarci con il piu’ profondo domani di noi esseri umani, vita e morte, avere un corpo in questa dimensione in cui viviamo adesso, ma prima c’e la politica da fare, la lotta, la rivoluzione anarchica bella”.
“Quindi lo spazio teatrale, specialmente nella strada si trovano dei momenti irripetibili per dare un segno al pubblico della possibilità di essere. In questo era una maestro Julian Beck, che cito: “fare qualcosa di utile, servire il pubblico, istruirlo, stimolare sensazioni, iniziare un’esperienza, risvegliare la consapevolezza, far battere il cuore, circolare il sangue, colare lacrime, dare voce a grida, girare intorno all’altro”. Quindi in teatro possiamo trovare tutto questo, insieme con l’aiuto del pubblico. Il teatro puo’ fare ricordare quiesti misteri della vita, questi riti, questa mancanza della magia della vita. Il teatro puo’ dare questa stessa magia che non si incontra piu’ nella vita quotidiana, ma che si puo’ trovare nell’arte. Quindi come possiamo vivere una consapevolezza altissima se non facciamo prima nella sala prova o nello spettacolo o nello studio di yoga o Qi Qong , cose che hanno lo scopo di portare questa scoperta della consapevolezza al mondo, di vivere la consapevolezza dell’esistenza della nostra morte. Lo ripeto si comincia prima con la politica perchè senza la consapevolezza delle ingiustizie della vita non possiamo andare avanti.”
Puoi dirci qualcosa sulla tua scelta vegetariana?
“Io sono vegetariano da 29 anni, sono ancora vivo, e sono l’esempio vivente che non è necessario mangiare animali. Julian Beck parlava molto della sua idea che se vogliamo finirla con il senso di morte che la violenza porta nella vita, dobbiamo cominciare con la nostra cucina, con la tavola, perchè non possiamo continuare ad uccidere gli animali:perchè è violenza. Che poi è l’idea di Ahimsa , di non fare male a nessuno, è una scelta molto centrale in tante religioni, ed è una scelta di vita per me e molti del Living Theatre. Oltre a combattere l’inquinamento dell’ambiente, l’uso dei pesticidi, spreco di risorse di acque di cibo ,e l’industria del consumo di carne, la scelta vegetariana è una scelta che si puo’ fare da subito, da una battuta di mani, ed è una scelta etica, non c’e’ altra scelta, se non quella di creare un’industria di tortura degli animali. Questa industria non è necessaria. E’ un’altra bugia della cultura dominante. La scelta vegetariana è fondamentale nella politica e nella cultura del Living Theatre”.
La tua canzone preferita?
“Ascolto Bach, il Jazz, il Rock’n’Roll, ma ce n’e’ una carina che ascolto per ora in questi giorni che parla dello stato di alienazione in cui cresciamo. “Mad World” di Gary Jules. E questa è una canzone che parla di un uomo che si trova in un mondo pieno di noia, di sofferenza, di tristezza, di maschere, e lui sogna, nella notte, della sua morte e sente che questo è un bellissimo momento perchè nella notte c’e’ la vera anima c’e’ un processo della nostra essenza che parla della mancanza di magia, magia che lui trova nel sogno, che non si trova nel mondo, un mondo in cui la scuola ed il lavoro fanno sentire di essere numeri e ci mettono delle maschere.”
C’e’ qualcos’altro che vuoi condividere con il lettori di Controcampus?
“Per i readers di SuccoAcido: visitate il nostro sito web Living europa e venite a partecipare ai nostri laboratorii dove si mette in gioco l’idea di comunità, di condivisione, di lavoro collettivo, il respiro, i nostri corpi, il movimento, in fattoria a contatto con la natura creando nuove scene nuove forme per portare queste scoperte del corpo, del respiro, dalla consapevolezza raggiunta con yoga e Qi Qong ad una forma teatrale.”
Vivian Cammarota