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All’Unisa il recital di Servillo, una perla di Filimidea 2011

11 Aprile 2011
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04/12/2024

Atteso per l'8 aprile scorso presso il Teatro d'Ateneo dell'Università di Salerno, l'incontro con Toni Servillo, breve e quanto mai intenso, ripaga ampiamente le aspettative degli amanti del teatro e della teatralità partenopea, della poesia dialettale, della lingua stessa del Golfo.

Non ha bisogno di presentazioni l’attore campano che con le sue interpretazioni di questi ultimi anni (da citare almeno “Luna Rossa” di A.Capuano, “Gomorra” di M. Garrone, “Il Divo“di P. Sorrentino, e ultimamente “Il gioiellino” di A. Molaioli) ha messo a disposizione l’estro artistico-espressivo sintetizzato nei suoi personaggi per l’introspezione di una sorta di trilogia del potere (criminale, politico ed economico), del quale un certo cinema italiano di ultima generazione s’è fatto portavoce. Non ha bisogno di presentazioni chi, poi, come Toni Servillo, contribuisce e testimonia la rinascita in Italia di quel tipo di cinema che non si accontenta di trascrivere ma procede ad interrogare la realtà rappresentata, allegando ai titoli di coda la scia puntuale dei dubbi di sorta, nel tentativo di una stimolazione massiva che può diventare massiva crescita di consapevolezza collettiva, ovvero l’avverarsi di uno dei migliori usi annessi all’ esercizio dell’arte cinematografica.

Paradiso e Inferno in versi nostri – E quindi senza alcuna indiscrezione e nessuna anticipazione, dopo dieci minuti di video istituzionale che traccia un resoconto di Filmidea negli anni, Servillo esordisce con naturalezza senza introduzioni formali e, al termine degli applausi di benvenuto, attacca in medias res, cominciando ad intonare “ Lassammo fa a Dio” del grande Salvatore Di Giacomo. Esemplare questo esordio soprattutto alla luce delle intenzioni dell’attore afragolese di fare del suo piccolo recital un tributo alla lirica partenopea attraverso un’ideale percorso dal Paradiso all’Inferno, che poi si rivela essere la riproposizione del Paraviso visto dall’occhio dello scugnizzo e per lo scugnizzo; tutt’altro che dantesco, il viaggio che Servillo ci fa intraprendere porta alla riscoperta del tradizionale tema dell’Aldilà e della sua auspicata continuità con la sorte terrena, necessaria per fare del Dopovita il luogo e il momento della rettificazione e della consolazione dalle ingiustizie subite.

Ma il Paradiso della poesia partenopea è squisitamente antidatesco perché di esso risalta l’accessibilità senza troppi trasalimenti e senza bisogno di straordinarie protezioni e illustri passpartout. In Paradiso si va… e dal Paradiso si viene, come fa nella citata poesia di Di Giacomo l’eroica Naninella, pezzente sì ma soprattutto mamma premurosa che baratta il banchetto paradisiaco offerto dal Padreterno in riparazione delle atroci disparità ravvedute in Terra con il suo dovere terreno che le impone di conciliare e proteggere il sonno del suo piccirillo. Il passaggio finale, nell’intonazione di Servillo, mette i brividi e prepara le mani di tutti per un applauso imminente.
Naninella scende da cielo e Vincenzo De Pretore , celebre creatura del genio di Eduardo e protagonista della seconda poesia declamata, vi sale con l’assurda pretesa di restare in Paradiso anche se ladro. L’ingenuo vuole restare in Paradiso avendo eletto per propria iniziativa San Giuseppe a protettore personale.

Il Paradiso raccontato da Eduardo usa l’espediente del delirio di Vincenzo De Pretore morente per collocare sul tappeto dell’assurdo e del macchiettistico alcuni degli interrogativi pensosi e irresolubili per noi mortali (“o’ver Patatè, ‘sti criaturelle accise prim e’nascere addo vanno? Veneno m’paraviso e nu ‘o sanno ?” , domanda De Pretore a Dio mentre gli espone la sua condizione esistenziale di ladro per necessità più che per professione). Con paradosso logico e metafisico alla fine De Pretore riesce a capovolgere l’antica legge del Paradiso pena l’ammutinamento dei suoi componenti principali (!): i diseredati che hanno sbagliato in vita possono restare tra i Santi; ma il Paradiso eduardiano è quello desiderato dagli ultimi nell’ultimo anelito ed esiste solo nel delirio di Vincenzo: mentre egli crede di essere già nel Paradiso e di avere finalmente trovato una giustizia giusta, è invece ancora sulla terra, tra gli uomini, schiavi della burocrazia, che vogliono sapere ancora com’è andata che è stato ferito a morte.

Il recital prosegue poi con l’imprescindibile riproposizione di due estratti da “N’Paraviso” di Ferdinando Russo, che assieme a “L’inferno” di Pasquale Ruocco e al ” ‘O Purgatorio” di Raffaele Chiurazzi, completa una sorta di Divina Commedia tutta napoletana, e che caratterizza in modo esemplare il Paradiso napoletano coi suoi santi che conservano limiti, risentimenti e passioni della loro natura umana. In particolare la seconda poesia (“La sfogliatella) colpisce e provoca il riso generale per l’efficace resa che Servillo fa del Padreterno adirato.

Poi si passa dal macchiettismo al melodramma con la celebre e terribile “ Fravecature ” (1930) di Raffaele Viviani e la vicenda drammatica del povero Ruoppolo che muore sul lavoro. Qui la voce di Servillo sembra provenire dall’antro di una caverna e l’Inferno alberga nella casa e nei cuori della famiglia sopravvissuta : la declamazione partecipata rende al meglio l’angoscia del racconto e attraverso le rime stridenti è lo stesso dialetto in versi che si adegua al dolore. Un saggio delle potenzialità espressive uniche proprie della lingua e della versificazione.

Con un salto di decine e decine di anni, l’Inferno prosegue nei versi aspri e rabbiosi di Mimmo Borrelli, riproposti da Servillo con l’avvertenza che gli originali sono declamati in dialetto bacolese. Come si avrebbe modo di constatare da qualche intervista al giovane poeta sparsa nel web, la bestemmia è l’altro modo, riposto sul frangente del censurabile, dell’offensivo o del non-senso, di rapportarsi con Dio.

Con Litoranea del collega Enzo Moscato, Servillo ritorna alle origini, ai primi tempi con Mario Martone e Falso Movimento, e la cifra di libera sperimentazione linguistica è esemplificata in questo concitato, paranoico, mixato e isterico monologo, lancinante e di ardua esecuzione. La lezione sull’uso poeticamente variegato della lingua partenopea può quasi aspirare a piccola completezza ma Servillo ci ridona il Viviani che, in Primitivamente, questa volta con giovialità giullaresca, ci mette in veraci rime la voglia di evasione che Servillo confessa di condividere assolutamente.

Non resta che accennare al tema dell’Amore (ancora con Viviani) e intonare una canzuncella spiritata ( ‘A Casciaforte ) in onore di tanta nostra poesia messa in musica durante il Novecento.

Raffaele La Gala

© Riproduzione Riservata
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