miur.it). Il progetto, intitolato “Dalle conoscenze di base riguardanti la dinamica dell’autoaggregazione della β2-microglobulina alla scoperta di nuovi inibitori dell’amiloidogenesi”, cercherà di comprendere i meccanismi molecolari delle amiloidosi, ossia di quelle patologie in cui i depositi di proteine nelle cellule e nei tessuti provocano malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.
Responsabile del progetto per l’Unità di ricerca di Udine è Maria Chiara Mimmi, da 8 anni impegnata in questo campo presso il Laboratorio di biofisica dell’ateneo friulano, nell’équipe di Biofisica del dipartimento di Scienze mediche e biologiche (DSMB) con Gennaro Esposito, Federico Fogolari e Alessandra Corazza.
Frutto della collaborazione in corso da 12 anni tra i biofisici di Udine e i gruppi di Pavia, Firenze e Milano, il progetto – coordinato da Pavia, tra i 40 finanziati nel settore di ricerca delle “Life sciences”, del costo di 978 mila euro e finanziato per 819 mila e 600 euro – rappresenta, dunque, un ulteriore importante riconoscimento per il gruppo udinese di Biofisica del DSMB, che lo scorso anno aveva già contribuito a un importante risultato per l’individuazione e la caratterizzazione di farmaci anti-amiloide, grazie a uno studio poi pubblicato dall’autorevole rivista scientifica “The Journal of Biological Chemistry”.
Con Maria Chiara Mimmi lavoreranno allo studio Sofia Giorgetti (Pavia), Stefano Ricagno (Milano) e Martino Calamai (Firenze), assegnisti di ricerca post-dottorato e neo-ricercatori «con curricola scientifici – sottolinea Gennaro Esposito, docente della facoltà di Medicina di Udine – adeguati agli elevati standard richiesti dalla selezione nazionale e conseguiti con un impegno pluriennale nei gruppi di ricerca delle Università coinvolte nel progetto, che li hanno sostenuti negli ultimi 5-10 anni».
E proprio la sinergia tra Laboratori con competenze diverse ma complementari dei quattro Atenei «costituisce – aggiunge Esposito – uno dei punti di forza del progetto. Infatti, l’approccio multidisciplinare che è stato riconosciuto meritevole del finanziamento, spazia dai meccanismi molecolari correlati con le amiloidosi ai fenomeni patologici su modelli cellulari, fino a comprendere l’osservazione di pazienti in terapia sperimentale con i farmaci progettati dalla ricerca di base».
Un ulteriore aspetto innovativo del progetto «è – spiega Mimmi – l’utilizzo del C.elegans, un nematode che, modificato geneticamente, costituisce un modello animale senza precedenti di amiloidosi da ß2-m. L’utilizzo di vermi transgenici consente lo studio delle alterazioni metaboliche connesse alla patologia con la facilità di manipolazione tipica delle colture cellulari». L’unità di ricerca di Udine, inoltre, «sta mettendo a punto un protocollo – conclude Esposito – per analizzare il profilo metabolomico delle linee transgeniche di C. elegans che sviluppano depositi amiloidi analoghi a quelli ritrovati nei pazienti, oltre a studiare i meccanismi molecolari dell’interazione tra la ß2-m e potenziali inibitori dell’amiloidogenesi».