18 dello Statuto dei lavoratori e licenziamento libero. Quello che nessuno dirà mai. Che i sindacati fossero una casta come i boiardi di Stato o come i partiti politici, di cui sono spesso spalla, si sa.
Che i sindacati, come i partiti, siano considerati parassiti foraggiati dai contribuenti ed esentati fiscalmente, per questo interessati alle entrate fiscali per non perdere il loro sostentamento, tanto da far divenire l’Italia uno Stato di polizia fiscale, è poco pubblicizzato, ma tant’è nessuno fa niente.
Che i sindacati difendano a spada tratta l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, è, anche, ampiamente risaputo. Il Dr Antonio Giangrande, autore della Collana editoriale “L’Italia del Trucco”, ne spiega il perché.
«Il fatto di discriminare i lavoratori soggetti a due regimi differenti è uno scandalo. E’ che ciò sia avallato dai sindacati e dai partiti di sinistra è vergognoso.
L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori afferma che il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo. In assenza di questi presupposti, il giudice dichiara l’illegittimità dell’atto e ordina la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.
In alternativa, il dipendente può accettare un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultimo stipendio, o un’indennità crescente con l’anzianità di servizio.
Il lavoratore può presentare ricorso d’urgenza e ottenere la sospensione del provvedimento del datore fino alla conclusione del procedimento, della durata media di 3 anni.
Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore può scegliere se riassumere il dipendente o pagargli un risarcimento. Può quindi rifiutare l’ordine di riassunzione conseguente alla nullità del licenziamento. La differenza fra riassunzione e reintegrazione è che, nel primo caso, il dipendente perde l’anzianità di servizio ed i diritti acquisiti col precedente contratto (tutela obbligatoria).
In sostanza, i lavoratori delle aziende con meno 15 dipendenti che hanno subito un licenziamento illegittimo non hanno la possibilità di essere reintegrati.
Guarda caso, proprio queste aziende non sono sindacalizzate ed i lavoratori sono più fidelizzati e produttivi, con l’interesse economico dell’imprenditore a non licenziarli. Al contrario le aziende con più di 15 dipendenti sono quelle con strutture sindacali ben radicate, spesso riconducibili a più sigle, i cui molteplici rappresentanti sono quelli che, per un motivo o per l’altro, apportano meno utilità all’impresa o non le sono utili affatto.
Per logica economica, l’imprenditore, se fosse abolito l’art. 18, prima di tutto metterebbe alla porta questi sindacalisti, che, nuocciono all’azienda e, oltretutto, allo stato dei fatti, non tutelano i lavoratori.
L’imprenditore, a costo di pagare le 15 mensilità, si toglierebbe ben volentieri di mezzo i sindacalisti dannosi all’impresa ed ai lavoratori. Ed i sindacati questo lo sanno.
Ecco perché si difende tanto l’art. 18: per difendere gli interessi economici e politici dei sindacati e non certo dei lavoratori, o per dirla meglio, si difende l’art. 18 per danneggiare coloro i quali il lavoro non lo hanno o non lo hanno mai avuto.»