30 debutta all’Aula Magna della Sapienza Roberto Plano, il Pavarotti del pianoforte, uno dei giovani pianisti italiani più apprezzati in campo internazionale.
A conferma del detto “nemo propheta in patria” è forse perfino più noto all’estero che in Italia, particolarmente negli Usa, dove nel 2001 ha vinto giovanissimo l’ambito Cleveland International Piano Competitione dove torna più volte ogni anno per concerti e master class. Ha suonato inoltre nelle principali sale da concerto di Francia, Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Spagna, Irlanda, Giappone.
Il Chronicle l’ha definito “il Pavarotti del pianoforte” e per il commentatore radiofonico di Chicago Paul Harvey è l’erede di Rubinstein e Horowitz. Dopo il suo debutto, il New York Times ha scritto: “Ci sono purezza meravigliosa e padronanza delle emozioni più profonde nelle sue interpretazioni… ha dato dimostrazione di virtuosismo levigato”. Sono esattamente le qualità necessarie per il raffinato programma da lui scelto: Maurice Ravel, Claude Debussy, Aleksandr Skrjabin e Franz Liszt, musicisti diversi ma collegati dalla comune volontà di ricavare sonorità nuove e inaudite dal pianoforte, che possono essere scambiate per una dimostrazione di virtuosismo ma che in realtà rivelano l’aspirazione a una profonda e ineffabile spiritualità, alla ricerca dei significati simbolici che stanno al di là puro dato sonoro.
Al centro del concerto due Sonate di Aleksandr Skrjabin, di cui Renzo Plano è, secondo il critico americano John Bell Young, “il più grande interprete del presente e del passato”. Influenzato inizialmente dalla teoria nietzschiana del superuomo, Skrjabin fu poi suggestionato dalla teosofia e sviluppò teorie mistiche sul ruolo dell’artista nel preparare l’avvento di un nuovo mondo, finendo col paragonarsi a dio. Ha anche compiuto interessanti e pionieristici esperimenti sull’unione di musica e colore. Idolatrato dai suoi ammiratori, numerosi non soltanto in Russia ma nell’intera Europa e anche in America, Skrjabin è stato uno dei musicisti più controversi della fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La sua musica fu definita da Lev Tolstoj “una genuina espressione di genio”.
Sottili fili legano i brani alternati sapientemente da Roberto Plano: lontane campane risuonano in Les cloches de Gènève di Liszt come nellaCathédrale engloutie di Debussy e nella Vallée de cloches di Ravel, mentre evanescenti figure di malinconcihe giovinette sono evocate da La fille aux cheveuex de lin di Debussy e dalla Pavane pur un infante dèfunte di Ravel.