Il viaggio di Ulisse: l’isola dei Ciclopi – l’isola di Eolo – l’isola di Circe – l’isola delle Sirene – l’isola di Ogigia
L’Odissea è certamente il più famoso dei Nostoi (Nόστοι, “ritorni”), i poemi greci del ciclo epico che descrivevano il ritorno degli eroi achei in patria dopo la distruzione di Troia.
La fama del poema è certamente legata al suo personaggio principale, il greco Odisseo (il nome latino Ulixes deriva da una forma dialettale), l’eroe più famoso di tutta l’antichità, considerato simbolo di astuzia, di diplomazia e di abilità oratoria.
Il poema è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale, è diviso in XXIV libri e canta le vicende di Ulisse dal momento della sua partenza da Troia al ritorno nella sua patria Itaca. Il peregrinare dell’eroe durò all’incirca venti anni e di seguito, riporto in ordine cronologico le dodici tappe dell’itinerario da lui percorso:
- Da Itaca a Capo Malea
- Da Capo Malea alla Terra dei Lotofagi
- Dalla Terra dei lotofagi all’Isola dei Ciclopi
- Dall’isola dei Ciclopi all’Isola di Eolo
- Dall’Isola di Eolo alla Terra dei Lestrigoni
- Dall’Isola dei Lestrigoni all’Isola di Circe
- Dall’Isola di Circe alla dimora di Tiresia
- Dall’isola di Circe a Imera
- Da Imera a Scilla e Cariddi
- Da Scilla e Cariddi all’Isola di Trinachia
- Dall’Isola di Trinachia all’isola di Ogigia
- Dall’Isola di Ogigia alla Terra dei Feaci
Il viaggio di Ulisse: l’isola dei Ciclopi – l’isola di Eolo, di Circe, delle Sirene e di Ogigia
L’Odissea si svolge principalmente nel Peloponneso e nelle isole ioniche, ma identificare esattamente i luoghi visitati da Ulisse appare quasi impossibile, anche perché il testo offre in genere assai pochi spunti per identificare geograficamente i luoghi. Gli studiosi non sono nemmeno unanimemente concordi nell’identificare l’Itaca di Odisseo con la moderna Itaca, poiché le descrizioni geografiche e il numero di isole dell’arcipelago non corrispondono.
Tradizionalmente si identifica nella Sicilia la terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni, in una delle isole Eolie l’isola in cui Ulisse incontrò il dio Eolo, e in Corfù la terra dei Feaci. Successivamente sono stati proposti molti altri luoghi, la maggior parte di questi situati nell’area mediterranea, ma alcuni studiosi sono anche arrivati ad ipotizzare che Ulisse abbia raggiunto l’Oceano Atlantico o addirittura che tutta la sua vicenda si sia svolta nel Mar Baltico (teoria dell’Omero nel Baltico).
Ma quel che più conta al fine della nostra ricerca è la descrizione geografica dei luoghi che geograficamente vengono descritti dallo stesso Omero nell’Odissea e che sono degni di un’analisi critica. Perciò questa tesina si propone lo scopo di analizzare alcune località che Ulisse visitò personalmente quali l’Isola dei Ciclopi, l’Isola di Eolo, l’Isola di Circe, l’Isola delle Sirene, l’Isola di Ogigia.
- II. L’isola dei Ciclopi
Omero chiama quest’isola, prospiciente al paese dei Lotofagi, la terra dei Ciclopi e ci dice che essa è piatta, selvosa e sabbiosa e posta dinanzi alla terraferma. Nel IX Libro, Ulisse dopo esservi giunto lascia incagliare la nave sulla sabbia e dà una descrizione del luogo sul quale abitavano i Ci
lopi:
“ E arrivammo alla terra dei Ciclopi superbi e senza legge, i quali, fidando negli dei immortali, non piantano, non arano mai: nasce tutto senza semina e senza aratura, il grano, l’orzo e le viti che fioriscono di grappoli sotto la pioggia di Zeus. Davanti al porto non troppo vicina né troppo lontana dalla terra dei Ciclopi c’è un’isola piatta e selvosa, dove vivono capre che belano, potevano fare bella quest’isola che non è sterile e darebbe frutti ad ogni stagione. Vi sono dei prati, lungo le rive del mare, morbidi e freschi; viti perenni che potrebbero starvi a dimora”.
Alcuni elementi di questo brano avvalorano un’identificazione tra il luogo descritto nell’Odissea e quello di Aci Trezza e della provincia di Catania. Il tipo di coltivazione descritta da Ulisse, quella della vite, delle olive e degli agrumi è ancora oggi presente nella provincia siciliana e sono tutte coltivazioni tipiche del paesaggio mediterraneo. Comunemente la terra dei Ciclopi viene identificata con Aci Trezza e con il territorio della provincia di Catania. Di fronte al Lido di Aci Trezza si stagliano i faraglioni o Isole dei Ciclopi, otto scogli basaltici di origine vulcanica , che secondo la leggenda tramandata da Omero vennero scagliati da Polifemo, contro Ulisse in fuga. Infatti nell’Odissea viene detto:
“La cima di un monte alto divelse e lo scagliò davanti alla nave dalla prora azzurrina, e intanto sollevò un masso ancora più grande…” .
Singolari per la loro natura gelologica, lo sono ancora di più per i fondali circostanti, protetti in una Riserva Naturale Marina. La flora sommersa comprende vaste praterie di posidonia e ben 300 tipi di
alghe; anche la fauna è molto ricca. Oggi Aci Trezza si presenta come un centro marinaro di viva tradizione con un’importante villeggiatura e porto turistico. Il porto di Aci Trezza che è attrezzato con rifornimento di carburante ed acqua, cantieri navali e gru di alaggio è probabilmente rimasto nello stesso punto in cui era quello di cui c’è un breve accenno nell’Odissea. Una caratteristica importante di questa di questa zona marittima è la sua altitudine. Le pareti rocciose che la formano ar
ivano anche a cento metri e vi sono numerose grotte formate grazie al lento lavoro di abrasione del mare. Il territorio in provincia di Catania è costituito da un’orografia molto varia. Della zona fanno parte sia la pianura più estesa della Sicilia , la Piana di Catania, sia il monte Etna. La Piana di Catania è un bassopiano alluvionale fra i monti Iblei a sud e l’Etna a nord, creato dal fiume Simeto e dai suoi affluenti Dittaìno e Gornaluga. Fin dai tempi romani fu nota per la sua fertilità che venne sempre meno a causa delle inondazioni e la malaria. Dal 1700 vengono effettuati lavori di bonifica idraulica. Ora la piana è in gran parte coltivata ed è rimasto poco spazio per il pascolo. Lungo la costa gli agrumeti sono molto diffusi, i seminativi nell’entro terra, i vigneti sulle prime pendici vulcaniche.
La città di Catania sorge al margine settentrionale dell’ampia insenatura costiera a cui dà il nome: il Golfo di Catania. Attualmente vi è un fiorente mercato agricolo, infatti nella Piana di Catania vi è uno sviluppo della produzione di cereali, del tabacco e dell’allevamento. Catania è per popolazione e importanza la seconda città della Sicilia, vivace ed elegante, bellissima nel suo nobile e sontuoso aspetto barocco settecentesco, nelle sue lunghe vie rettilinee. Il suo porto costituito nel 1700 oggi ha raggiunto un traffico discreto ed ha giocato un ruolo importantissimo per l’economia locale.
Il clima e la posizione sul mare alle falde dell’Etna ne fanno un centro turistico di grande avvenire e un gradevole soggiorno climatico invernale. E’ inoltre un centro culturale, commerciale e industriale di primissima importanza dotato di un attivo porto commerciale. Il Monte Etna detto anche Mongibello è uno dei maggiori vulcani attivi della terra, alto 3296 m, è un importante rilievo conico che si eleva isolato in riva al mare Ionio, quasi a metà della costa orientale della Sicilia. La vegetazione che contorna il vulcano è costituita da agrumi, vigneti, mandorleti, uliveti e alberi fruttiferi, tra i 1300 e i 2000 m sono più estesi i boschi formati da castagni, querce, elci, larici, faggi, betulle, pioppi, pini, ginestre mentre oltre i 2000 m si trova la fascia deserta dove si incontrano ginepri. Nella fascia inferiore della zona coltivata si osservano i residui della vegetazione mediterranea e un gran numero di piante importate come i banani, gli eucalipti, le araucarie, varie palme, il pino italico e il ficodindia.
Il resto del territorio è in prevalenza collinare con cime che raggiungono i 700 m, soprattutto lungo la zona iblea con rilievi a prevalenza calcarea. La provincia è interessata dal più grande bacino idrografico della Sicilia costituito dal fiume Simeto e dai suoi affluenti. Il bacino proviene dai monti Erei e dalle pendici dei Nebroidi. La portata del bacino è variabile a seconda della stagione e della piovosità. Dalle pendici dei Nebroidi scende anche il fiume Acalantara che segna il confine nord della provincia, che prende acqua in tutte le stagioni raccogliendo acqua dalle sorgenti etnee nutrite dallo scioglimento delle nevi, il quale fiume ha scavato il suo alveo in una colata lavica. Inoltre vi sono anche fiumi sotterranei: il fiume Amenano, il fiume Laognina e il fiume Aci. I laghi presenti nel territorio sono il Gornaluga, formato dall’affluente del Simeto, il Gurnazza, formato da dune costiere e le Salatelle, piccoli bacini di acqua salmastra. Altri lagi sono collocati all’interno di riserve naturali quali il lago Trearie, il lago Gurrida, un lago nato dallo sbarramento lavico dell’eruzione del 1563, vi sono poi alcuni laghi artificiali quali il lago Dirillo e il lago di Ogliastro. Lungo la costa si alternano spiagge di ghiaia e scogliere basaltiche soprattutto tra Acireale e Catania.
Il clima va da quello sub-tropicale di Catania a quello rigido dell’osservatorio sul vulcano. Questa provincia offre una notevole varietà di climi in conseguenza dell’altitudine e della lontananza o vicinanza dalla costa. Nelle zone etnee è frequente la neve e altre precipitazioni nel periodo invernale. Invece la piana di Catania ha un regime di semiaridità con modeste quantità di precipitazioni concentrate soprattutto nel periodo autunnale sottoforma di nubifragio. Per quanto riguarda l’elemento storico Catania viene fondata nell’VIII secolo a.C. dai coloni calcidesi con il nome di Katane e rimane per tre secoli in mano ai greci. Conquistata dai Romani a partire dall’epoca augustea conosce secoli di ricchezza. Dopo alcuni decenni di dominazione ostrogota Catania viene presa dai Bizantini. Nel XI ha iizio la conquista normanna e nel 1078 ha inizio la costruzione della cattedrale fortificata attono alla quale si va costituendo il centro cittadino. Dalla piccola propreità agricola mussulmana si ritorna al latifondo, interruzione dei traffici con l’Africa e crisi economica accentuata dal grave terremoto del 1169. Con gli Aragonesi vi è una momentanea ripresa ma nei secoli XVI e XVII vi è di nuovo una crisi economia dovuta all’incursione di pirati, epidemie e carestie. Culmina con l’eruzione del 1669 e il terremoto del 1693 che rade al suolo la città. Dopo l’avvento dell’unità d’Italia co0ncorrono a modificare il volto di Catania il riutilizzo pubblico degli edifici conventuali, la costruzione della ferrovia e il potenziamento del porto. Testimoni dei grandi cambiamenti sociali del secolo saranno Verga, Capuana, De Roberto e Rapisardi.
- III. IL VIAGGIO DI ULISSE – L’Isola di Eolo
Dalla terra dei Ciclopi Ulisse giunse all’isola di Eolo, da cui potevano raggiungere la terra dei Padri, la Grecia, con il vento di Ovest, nel V Libro leggiamo:
“E all’isola Eolia arrivammo; qui stava
Eolo Ippotade, caro ai numi immortali,
nell’isola galleggiante: tutta un muro di bronzo,
indistruttibile, la circondava, nuda s’ergeva la roccia”.
Quando Ulisse, reduce dalla guerra di Troia, approdò su quest’sola, Eolo lo ospitò e, commosso dal racconto dell’eroe greco, gli fece dono dell’otre di pelle dentro la quale erano rinchiusi i venti contrari alla navigazione. Durante il viaggio Ulisse fece soffiare solo il dolce Zefiro ma mentre l’eroe dormiva, i compagni di navigazione, credendo che l’otre regalatale da Eolo fosse piena di tesori, l’aprirono liberandone i venti che scatenarono una terribile tempesta dalla quale si salvò solo la nave di Ulisse. Fin dal V secolo a.C., l’isola di Eolo viene identificata con il gruppo delle isole Eolie, ma questa identificazione è errata, infatti è impossibile giungervi con il vento occidentale viaggiando verso la Grecia. Potrebbe procedersi ad un’identificazione con le isole di Pantelleria, Linosa e Lampedusa, ma diversamente da Malta, queste non corrispondono alla descrizione lasciataci da Omero. Malta, infatti, vista dal mare sembra essere l’unica isola; possiamo escludere la Sicilia, che per la sua grandezza, non può certamente essere descritta come un’isola da chi le si avvicina, somigliando di più alla terraferma, inoltre le correnti marine, spingono le navi dalla Sirte proprio in prossimità di Malta. La prima spiaggia protetta, che si offre a chi costeggia la costa meridionale di Malta in direzione Est, è il Mars Scirocco, la più grande rada dell’isola. Oggi vi si alzano i resti della fortezza di Birzebbuga a destra. Essi sono il monumento archeologico più importante di Malta del periodo di Ulisse e di Omero (1400 fino all’800 a.C.). Inoltre Malta conobbe un’elevata civilizzazione databile già al terzo millennio a.C.. Omero indica come segno caratteristico dell’alta cultura dell’isola di Eolo le case famose, l’uso del flauto ed una ricca cucina. Tutto questo può coincidere con l’antica ed importante cultura maltese. E che, in effetti, sia possibile venire spinti dai venti dalla Grecia verso Malta lo dice l’evangelista Luca, che negli “Atti degli Apostoli” narra che Paolo, navigando da Creta diretto a Roma, venne da un naufragio sbattuto sulle coste di Malta. Grazie anche a questa autorevole testimonianza, viene una conferma alle nostre precedenti considerazioni, per cui Malta è da considerarsi l’isola di Eolo. Sbarcato per la seconda volta sull’isola di Eolo, ad Ulisse venne negato il diritto di ospitalità e cacciato in malo modo.
Situato nel mar Mediterraneo l’arcipelago maltese si trova a circa 100 km dalle coste meridionali della Sicilia e 350 km a nord della Libia; comprende cinque isole: Malta, Gozo, Comino e le disabitate Lilfola e Cominotto. Grazie alla sua posizione geografica e alla presenza di porti naturali, Malta è stata per secoli un territorio di grande importanza strategica. Per quanto riguarda l’ambiente naturale, l’arcipelago maltese costituisce la punta più elevata di una dorsale sottomarina che si estende dalla Sicilia alla Tunisia. L’isola di Malta è per tutta la sua lunghezza divisa in due da una parete rocciosa. Nella parte occidentale dell’isola i rilievi raggiungono la massima altitudine. La regione settentrionale è rocciosa e caratterizzata da una vegetazione scarsa e rada, mentre la parte meridionale dell’isola è stata parzialmente terrazzata. La costa occidentale è alta, accidentata e spesso inaccessibile. Sulla costa orientale due profonde insenature formano porti naturali, rafforzando così l’importanza strategica di Malta. La capitale, Valletta è situata su una lingua di terra tra le due insenature. Nel territorio maltese non vi sono laghi né fiumi ma solo qualche sorgente.
Il clima è di tipo mediterraneo con estati calde e secche e inverni miti e umidi. La temperatura oscilla da una media di 12° C in gennaio a 25° C nei mesi di luglio e agosto. Circondato dal mare l’arcipelago è esposto al maestrale, vento freddo che soffia da nord-oves, al grecale vento secco proveniente da nord-est e al caldo scirocco che spira da sud-est.
La vegetazione naturale è pressoché scomparsa tranne che sulla costa. Sono rimaste poche specie legnose fra cui si distinguono l’albero del pane, il fico e l’agnocasto. La fauna è in prevalenza costituita da piccoli mammiferi quali donnole, ricci, ratti e conigli. Poiché Malta è situata sulla rotta principale degli uccelli migratori sull’isola è possibile osservare diverse specie quali l’aquila pescatrice, l’avvoltoio, la rondine e il cuculo. Oltre il 90% della popolazione vive sull’isola principale dove si riscontra la massima densità demografica. L’attività portuale e i cantieri navali costituiscono la base del benessere economico del Paese. Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna l’industria cantieristica e navale viene nazionalizzata. Circa il 40% della superficie territoriale è coltivata, le colture principali sono frumento, orzo, patate pomodori, cipolle, agrumi, uva. Il terreno agricolo è in prevalenza sistemato a terrazze.
- III. IL VIAGGIO DI ULISSE – L’Isola di Circe
Nel X Libro dell’Odissea Omero narra le vicende che vedono l’approdo di Ulisse e dei suoi compagni sull’Isola di Eea, abitata da Circe. Ulisse sbarcato durante la notte, non aveva potuto riconoscere l’isola in cui giunse. Stanchi dalle peripezie passate, Ulisse ed i suoi compagni riposarono per due giorni e due notti, al terzo giorno:
“Allora io la mia lancia prendendo, ed il coltello affilato, rapidamente, lasciata nave, salivo in vedetta, se opere mai di mortale vedessi o sentissi la voce. E su una cima rocciosa m’inerpicavo ad esplorare e mi apparve del fumo su dalla terra ampie strade, e in casa di Circe, tra i folti querceti e la macchia”.
Da questi riferimenti e per il percorso successivo si potrebbe ricostruire, dai dati omerici, una direzione Nord-Est.
Questa direzione corrisponde anche qui alle correnti marine, che conducono realmente ad una piccola isola, Ustica a Nord di Palermo. Per alcuni studiosi sarebbe questa l’unica isola di cui si può dire, come fa Omero:
“[…] che intorno il mare infinito corona”.
Si esclude la tradizionale identificazione con il monte Circeo in Lazio, che è unita alla terraferma e si escludono anche le isole Egadi o Lipari, perché appartengono ad un gruppo di isole.
Da Ustica, così come narra Omero, si può raggiungere col vento del Nord, in un solo giorno, la costa. Tenendo conto di ciò, si può stabilire che in Ustica è stata trovato il solo luogo che può corrispondere ai dati nautici forniti da Omero. Il centro abitato di Ustica è su un riparo tufaceo tra gli scali di Cala Santa Maria e Gala Giconi. L’isola è nota soprattutto per la sua riserva marina istituita nel 1987. Le scogliere di lava scurissima si animano sott’acqua dei colori della fauna invertebrata e della presenze in quantità inusitata di pesci di ogni dimensione. Nella riserva che dispone di un centro visite e di un museo, sono stati allestiti sentieri subacquei e si effettuano escursioni con barche sul fondo trasparente. Essa è di origine vulcanica: sono presenti infatti dei rilievi collinari che rappresentano le vestigia di antichi vulcani (Punta Maggiore, 244 m; Guardia dei Turchi, 238 m) e dividono l’isola in due versanti. Sull’isola è presente la stazione meteorologica di Ustica, ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Le precipitazioni medie annue si attestano a 505 mm, mediamente distribuite in 68 giorni di pioggia, con minimo in estate e picco massimo in autunno–inverno. L’umidità relativa media annua fa registrare il valore di 78,2 % con minimo di 74 % a luglio e massimo di 82 % a gennaio; mediamente si contano 18 giorni di nebbia all’anno. La vegetazione naturale è piuttosto scarna, è stata comunque ampiamente stravolta dalla presenza dell’uomo e dalle sue coltivazioni. Tra le specie di flora più rappresentate troviamo macchia Artemisia arborea, Lentisco, Calycotome spinosa e Ginestra. Meno diffusa la presenza di piante da frutto come ulivi, mandorli e viti. È presente anche una diffusa steppa mediterranea. Ustica è anche nota per essere l’habitat naturale dell’Apis mellifera sicula.
La flora e la fauna marina assomigliano per alcuni versi a quella tropicale che la rendono meta ambita per gli appassionati di immersioni. Sono presenti coralli, rose di mare e una variopinta vegetazione. La fauna marina è composta principalmente da aragoste, cernie, dentici, ricci, saraghi, orate, sgombri, barracuda, pesci pappagallo, pesci balestra e spugne.
Gli antichi romani la chiamavano Ustica (da ustum = bruciato) mentre i greci, Osteodes, Οστεωδες ossia ossario, per i resti di mercenari che vi sarebbero morti per fame e sete. Da alcuni viene ritenuta la dimora della maga Circe, citata nell’Odissea, che trasformava gli incauti visitatori in maiali. Gli insediamenti umani risalgono al Paleolitico; alcuni scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di un antico villaggio cristiano. Sepolture, cunicoli e una gran quantità di reperti archeologici ritrovati anche sott’acqua, a causa dei tanti naufragi avvenuti nel tempo, testimoniano una presenza costante, nel luogo, di vari antichi popoli mediterranei, Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani che vi lasciarono vestigia dappertutto. In seguito divenne base dei pirati saraceni e lo rimase per lunghissimo tempo. Nel VI secolo vi si stabilì una comunità Benedettina, ma fu ben presto costretta a spostarsi a causa delle imminenti guerre fra Cristiani ed Arabi. Nel Medioevo fallirono dei tentativi di colonizzare l’isola a causa delle incursioni dei pirati barbareschi, che fecero dell’isola un proprio rifugio.
Nel 1759 Ferdinando IV di Borbone impose una colonizzazione dell’isola; furono edificate due torri di guardia, Torre Santa Maria e Torre Spalmatore, che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, cisterne per raccogliere l’acqua piovana e case che costituirono il centro abitato principale presso la Cala Santa Maria. Vi vennero coloni palermitani, trapanesi ed eoliani, accompagnati da un centinaio di soldati. Ustica al tempo dei Borboni fu anche un luogo di confino per prigionieri politici e vi restò anche sotto casa Savoia. Durante il regime fascista Ustica fu luogo di confino. Vi furono ristretti Antonio Gramsci e Ferruccio Parri. Nel 1961 il confino fu abolito a causa di proteste popolari e da allora iniziò a svilupparsi il turismo. La località è conosciuta poiché utilizzata come punto di riferimento geografico della cosiddetta Strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980, quando il volo Itavia da Bologna a Palermo, precipitò a una notevole distanza dall’isola; in quell’episodio morirono ottantuno persone tra passeggeri e equipaggio. Le cause della sciagura non sono mai state accertate con sicurezza, tuttavia quelle più accreditate sono una bomba a bordo oppure l’esplosione di un missile sparato da un aereo da guerra in volo nella zona.
IV. – IL VIAGGIO DI ULISSE – L’ISOLA DELLE SIRENE
Nel XII Libro dell’Odissea Circe si rivolge ad Ulisse dicendo:
“Giungerai per prima cosa dalle Sirene che incantano tutti gli uomini che passano loro vicino. Chi senza saperlo si accosta e ode la voce delle Sirene non torna più a casa, i figli e la sposa non gli si stringono intorno festosi. Le Sirene lo stregano con il loro canto soave, sedute sul prato; intorno cumuli d’ossa di uomini imputriditi”.
Questa è la descrizione che la maga dà all’eroe sul pericolo che si può correre passando vicino alle Sirene: il rischio di non rivedere più la patria, la moglie e i figli. Ulisse parla di un’isola delle Sirene che è stata comunemente identificata con l’isola di Capri, per la sua posizione nel Mediterraneo. L’isola di Capri è un blocco di calcare grigio e azzurro con alte coste a strapiombo sul mare, punteggiate di grotte e di scogli dalle forme singolari. Staccatasi dalla penisola sorrentina in tempi antichissimi fu prima colonia greca, per divenire in seguito sede stabile dell’Imperatore Tiberio che vi fece costruire un gran numero di ville. Nell’Ottocento la scoperta della Grotta Azzurra la lanciò nell’orbita del grande turismo internazionale, attratto dal clima mite dell’isola e dalla bellezza dei suoi scenari naturali. L’ampia caverna sprofondata nel tempi in seguito al bradisismo, presenta una modesta apertura sul pelo dell’acqua, due metri in larghezza per poco più di un metro in altezza, la luce che penetra dalla parte sommersa trasmette alla superficie dell’acqua e alle pareti della volta i riflessi azzurri e argentei che la rendono così suggestiva. Capri è il capoluogo dell’sola, è situata a 142 m tra due colline con le sue caratteristiche case bianche a terrazze in tufo e calcare, separate da tortuose stradine. A picco sulla costa orientale dell’isola, è il risultato spettacolare dell’erosione della roccia calcarea. Una ripida scalinata porta alla Grotta di Matromania. Anticamente dedicata al culto di Cibele. Fronteggia il porto lo scoglio del Monacore, mentre a destrasi innalzano i tre celebri Faraglioni. Il secondo centro dell’isola è Anacapri (m 275) che sorge sulle pendici del monte Solaro alto 589 m , con le bianche case che spiccano fra il verde di vigne e uliveti. L’isola consta di due altipiani fra i quali vi è una depressione centrale. L’altopiano occidentale, quello di Anacapri ha forma quadrangolare e s’innalza fino a 589 m nel monte Solaro, vetta massima di Capri. L’altopiano orientale erge con pareti ripide che per tre lati strapiombano sul mare, ma tuttavia è più accessibile. La sella di questi altipiani è fertile e di facile accesso.
La natura permeabile dei terreni calcarei che costituiscono l’sola, la rende povera di acque superficiali. Le acque piovane vengono assorbite nel sottosuolo e defluiscono nel mare grazie a dei piccolo sbocchi lungo la linea di costa. Per l’acqua potabile Capri si serve di navi cisterne.
La flora di Capri è simile a quella della penisola sorrentina, la forma comune di vegetazione spontanea è la macchia sempreverde, che riveste i luoghi più elevati dell’isola; poi vi sono il ginepro, il lentisco, il corbezzolo, la ginestra, l’erica, il mirto e l’elce. Interessante è anche la fauna, di cui una specie molto rara è la lucertola azzurra che vive sullo scoglio più esterno dei tre enormi blocchi di faraglioni. Nessuno può resisterle. La sua bellezza, il suo fascino, le sue vivaci tinte, il suo paesaggio la rendono unica. E’ il sogno proibito. La meta agognata. Il desiderio di Ulisse. Nel XIX secolo un gruppo di letterati, infatti, pare riconoscere nelle spiagge di Capri i luoghi descritti da Omero nell’Odissea. Luoghi in cui Ulisse sosta attirato dal melodioso e ingannatore canto delle sirene. I famosi faraglioni, tre picchi rocciosi a poca distanza dalla riva, creano una suggestiva e affascinante scenografia. Il sole riflettendosi sul mare disegna luci argentee attorno ai faraglioni che sembrano vestirsi di piccoli diamanti. Il primo si chiama Stella, il secondo Faraglione di Mezzo e il terzo Faraglione di Fuori o Scopolo, ovvero promontorio sul mare. I principali centri abitati dell’isola si concentrano ad Anacapri, a Marina Grande e a Marina piccola dove le spiagge sono, spesso affollate dai bagnanti portati dai traghetti. Che sia o meno l’isola omerica, Capri anche senza sirene, non lascia scampo ad alcuno. L’isola emerge da un mare profondo con ripidissime e nude fiancate, con coste quasi ovunque alte e in molti tratti dirupate; su queste fiancate l’azione erosiva delle onde si è accanita,con il favore della natura della roccia è riuscita a scavare grotte di insuperabile bellezza, ad esempio la Grotta Azzurra, la Grotta Verde, La Grotta Bianca e ha contribuito a staccare degli imponenti pilastri rocciosi che come scogli erti adornano la parte meridionale dell’isola (Faraglioni). L’isola che ha forma rettangolare, presenta nella sua metà orientale una lunga insenatura a cui ne corrisponde un’altra nella parte meridionale. Le due rientranze dette Marina Grande e Marina Piccola, finiscono col creare una strozzatura mediana alla quale fa riscontro una minore altitudine, così che questa parte mediana più stretta, più bassa e coperta da terreni geologicamente più nuovi divide l’sola in tre zone: l’occidente, l’oriente e la centrale.
Oltre al turismo, Capri è uno dei luoghi più produttivi della Campania, ha una grande intensità di colture arboree quali ulivi e agrumi, e varietà di colture erbacee, in particolare ortaggi, ma ha soprattutto importanza per i suoi vigneti, che danno un prodotto molto ricercato e molto esportato. Anche la pesca ha un ruolo importante, il porto ha avuto un notevole sviluppo. Il nome di Capri ha due principali spiegazioni, per alcuni deriva dal greco kàpros ovvero cinghiale e per altri dal latino caprae ovvero capra, animali che in passato erano presenti sull’isola con molti esemplari, per altri ancora invece deriva da Caprea cioè “isola dalle pietre aspre”.L’Isola delle Sirene descritta nell’Odissea parrebbe essere proprio Capri che sicuramente con i suoi scogli doveva essere molto pericolosa per gli antichi naviganti. Le Sirene erano per gli antichi greci mostri metà uccello e metà donna che con il loro canto attiravano i marinai. I Greci, che a partire dall’ VIII secolo a.C. insediarono importanti colonie sulle coste della Campania, abitarono l’isola di Capri. Durante il periodo romano Capri divenne uno snodo importante dell’Impero. Augusto innamoratosi dell’isola la tolse alla giurisdizione di Napoli per passarla sotto il dominio diretto di Roma. Il suo successore, Tiberio, ereditò dal predecessore l’amore per Capri e vi trasferì la sua residenza per ben 10 anni.
Con la caduta dell’impero romano l’isola tornò alle dipendenze di Napoli. I continui saccheggi dovuti ai pirati resero l’isola molto insicura e l’imperatore Ludovico II affidò nell’866 d.C. l’isola agli amalfitani, in questo periodo storico la comunità di Anacapri divenne l’insediamento urbano principale proprio perché meno esposto ai saccheggi. Durante il periodo spagnolo, e più precisamente il 24 ottobre 1496 , Federico I di Napoli divise definitivamente i destini delle comunità di Capri e di Anacapri. Anche i Borboni apprezzarono la bellezza dell’isola e Ferdinando IV ne istituì una sua riserva di caccia. Con l’ottocento Capri acquista una nuova veste e diventa meta privilegiata di viaggiatori importanti, poeti, scrittori e pittori.
V. IL VIAGGIO DI ULISSE – L’ISOLA DI OGIGIA
Ogigia (in lingua greca Ὠγυγίη), nell’Odissea è l’isola dove Ulisse si trova a sostare per otto anni dopo le lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. In questa isola vive Calipso, una ninfa innamoratasi dell’eroe itacese a tal punto da non volerlo più lasciar partire se non a seguito di un ordine esplicito di Hermes, a sua volta inviato da Zeus. La ninfa ne informa l’eore ma questo diffida temendo un attentato alla propria vita; altresì, dopo un solenne giuramento di Calipso, Ulisse si prepara a partire.
Costruitosi una zattera Ulisse giungerà con essa presso l’isola dei Feaci in cui grazie all’intercessione della principessa Nausicaa otterrà di essere finalmente accompagnato e sbarcato alla natia Itaca. Sono diverse le proposte di posizionamento di Ogigia nella geografia reale: secondo Bérard appena fuori dallo stretto di Gibilterra oppure, secondo tradizioni locali della costa croata, l’isola di Meleda; secondo altri autori come Bradford invece è l’isola di Gozo nell’arcipelago maltese, dove è possibile visitare la “grotta di Calipso” che sovrasta la spiaggia rossa della Baia di Ramla; ancora, l’isola di Gavdos a sud della Grecia. Secondo alcuni recenti studi, Ogigia si troverebbe di fronte alla costa calabra del Mar Jonio, in corrispondenza della Secca di Amendolara, sita a largo dell’omonimo comune, per altri ancora come Butler si tratterebbe del’isola di Pantelleria. Questa isola viene descritta da Odisseo come un posto paradisiaco. Già gli storici dell’antichità non sapevano più dove essa fosse situata. Quelli moderni concordano nel fatto che l’isola di Calipso sia da ricercarsi nei mari dell’Italia Meridionale, essendo definitivamente tramontata la vecchia tesi del Bérard, che la poneva nel lontano stretto di Gibilterra, cioè alle Colonne d’Ercole, che rappresentavano il limite del mondo allora conosciuto. E veniamo all’identificazione: sono da escludere subito le isole del golfo di Napoli, le Tremiti, le Eolie. Le prime perché vicinissime alla terra, le altre due in quanto veri e propri arcipelagi. Da escludere anche la solitaria Ustica, perché troppo al di fuori, per quello che sappiamo attualmente, delle rotte antiche. Per la vicinanza alla terraferma e perché anch’esse arcipelago sono infine da escludere le Egadi. Non restano dunque che le isole di Malta, Lampedusa e Pantelleria. Isole che, dalle ultime conoscenze archeologiche, sappiamo lambite dalla marineria greco-micenea e forse dalla più antica marineria cretese. Omero, per Ogigia è categorico: si tratta di un’isola che non né ha altre nelle vicinanze. Ogigia, l’isola meravigliosa del Mediterraneo occidentale, è per Omero “l’ombelico del mare”, quindi il centro per antonomasia. Infatti è indubbia la perfetta centralità geografica dell’isola di Pantelleria nell’intero bacino del mare Mediterraneo. Ma Omero non intendeva dire questo, o meglio non solo questo. Per alcuni versi omerici è necessario procedere con un altro e più sottile livello di lettura, quello esoterico. Come abbiamo già scritto, l’Odissea, poema inizialmente orale, è costruito di fatto sui racconti e le leggende tramandati dai marinai greci nella loro epocale corsa verso il mare occidentale. Quindi quando Omero dice “ombelico del mare”, intende dire che siamo in presenza di un “omphalos”, cioè un centro sacro, un’isola sacra sede di una divinità, in questo caso rispondente al misterioso nome di Calipso, ipostasi della preistorica Dea dell’Amore, che a Pantelleria era presente. L’identificazione di Ogigia con Pantelleria quindi non è che un’ulteriore conferma.
È in età neolitica che si riscontrano, attraverso inconfutabili testimonianze archeologiche, le prime tracce di frequentazione per l’isola di Pantelleria. La località interessata è quella di contrada Mursia-Cimillìa. Qui, all’alba della civiltà, sbarca il misterioso popolo dei Sesi, costruendo sull’altura di Cimillìa un poderoso villaggio fortificato ed utilizzando la sottostante cala quale ancoraggio per le proprie rudimentali imbarcazioni. Essi commerciano l’oro nero dell’antichità, l’ossidiana, di cui l’isola è ricca. Solo altre rare località, nell’intero bacino del Mediterraneo, godono di questa peculiarità. Ma non deve essere stata la sola molla del commercio a spingere quelle genti. Come sempre, per i popoli antichi, agiscono anche motivi magico-religiosi. Non deve essere un caso che il villaggio fortificato sorga nelle immediate vicinanze delle collinette di Mursia dal caratteristico colore rossastro. Ancora oggi esse sono intese con il nome di Cuddie Rosse. In un arcaica lingua sacrale mediterranea pre-indoeuropea con il termine GUG si indica il nome di una pietra rossastra. Terra sacra quindi per gli antichi perche bagnata dal sangue della grande dea madre. Nella stessa lingua sacra con il termine GI-GUN si indica poi il tempio, il sancta sanctorum, cioè il luogo abitato dalla divinità.
Gi-gun = Ogigia = centro sacro o omphalos perchè sede prescelta dalla Dea Madre e di conseguenza della Fertilità. Stupefacente l’analogia che presenta l’etimologia del nome Ogigia con tutti gli altri nomi avuti dall’isola nel corso dei secoli.
Gran parte dei toponimi di Pantelleria deriva da voci arabe, con l’eccezione proprio della fascia di costa di più antica frequentazione, che presenta dei toponimi di chiara origine greca. Potrebbe trattarsi di reminiscenze bizantine, come lo stesso nome Pantelleria, ma anche di qualcosa più antico. La località Scauri, l’altro porto di Pantelleria, è parola greca che sta appunto per scalo, porto. Un’antichissima leggenda vuole che gli abitanti del posto, gli Scavirioti, siano i più astuti dell’isola per via della vantata diretta discendenza da Ulisse. Proprio l’ampia grotta di Satarìa con le sue calde acque termali si suole, per tradizione, indicare quale splendida dimora della dea Calipso, signora dell’omerica isola dell’amore, Ogigia. Le acque termali di questa grotta, fin dall’antichità, sono famose per le ottime qualità terapeutiche nel campo ginecologico, soprattutto nel combattere la sterilità. Da qui, per gli antichi, immaginare che ciò sia il dono munifico di una benevole dea della fecondità, nascosta nelle acque, il passo è breve. D’altronde l’esistenza di riti della fecondità è attestata, per l’isola, anche da altre testimonianze. Pantelleria è la più grande isola intorno alla Sicilia, lega le proprie notorietà alle tradizionali coltivazioni dell’uva zibibbo, dalla quale gli agricoltori panteschi traggono un delizioso passito, e del cappero che viene raccolto in ragione di 200 tonnellate l’anno. Il comune copre l’intera isola di Pantelleria. Si trova a 85 km dalla Sicilia e a 70 dall’Africa. Il suo territorio è di origine vulcanica. Il territorio del comune va dal livello del mare ad una altezza di 836 m sulla Montagna Grande. Si caratterizza per la straordinaria singolarità del suo paesaggio in cui agli elementi naturali (colate laviche a blocchi, cale e faraglioni) si aggiungono i manufatti creati dall’uomo per vivere e raccogliere abbondanti ed unici raccolti agricoli; muri a secco (con la funzione di contenere il terreno, delimitare la proprietà fondiaria e proteggere dal vento); i Giardini panteschi (costruzioni cilindriche in muratura di pietra lavica a secco con la duplice funzione di proteggere gli agrumi dal vento e di controllare gli effetti micro-climatici per un giusto apporto di acqua alla pianta laddove l’isola ne è sprovvista), i dammusi (fabbricati rurali con spessi muri a secco, cubici, con tetti bianchi a cupola ed aperture ad arco a tutto sesto, atavici esempi di architettura bio-climatica) di chiare discendenze arabe.
Pantelleria è detta anche isola del vento, in quanto i venti si fanno sentire notevolmente durante tutto l’anno, rendendo però l’isola fresca anche durante la torrida stagione estiva. Il porto dell’isola permette il collegamento regolare con i porti di Trapani e Mazara del Vallo. Pantelleria è dotata di un aeroporto ed è collegata all’Italia continentale con voli di linea.
Le popolazioni originarie di Pantelleria non provenivano dalla Sicilia, ma erano di origine iberica. Il primo insediamento è il villaggio fortificato di Mursia, dell’Età del Bronzo ( circa 2000 a.C.). Dopo un considerevole lasso di tempo, durante cui l’isola rimase probabilmente disabitata, nel territorio si fanno notare diverse costruzioni di epoca punica, fra cui alcune cisterne, nonché tombe ed altri manufatti di terracotta. Il nome di Pantelleria, deriva dall’arabo ” bintu al riah”, ossia figlia del vento. I Romani occuparono l’isola nel 255 a.C. Nel 700 la popolazione cristiana venne sterminata dagli Arabi, e nel 1123 fu conquistata dai Normanni di Ruggero I di Sicilia. Nel 1311 una flotta aragonese, al comando di Luigi di Requesens vi conseguì una notevole vittoria, e la sua famiglia ottenne il principato dell’isola fino al 1511, quando fu messa a ferro e fuoco dai turchi. Nel 1943, durante la II Guerra Mondiale, la conquista di Pantelleria fu ritenuta di importanza strategica dalla truppe alleate che si preparavano ad invadere la Sicilia, tanto che l’isola fu pesantemente bombardata dal mare e dal cielo. Il nome Calipso ha alla base la radice Kel nel suo significato di velare, nascondere, quindi Kalipso = l’occulta, la nascosta (nelle acque). Ha la stessa radice di Kimelio = Cimillìa (tesoro o bene nascosto), località sacrale dove i neolitici dei Sesi, in enigmatiche tombe-templi, apprendevano forse il definitivo segreto iniziatico “dell’eterno ritorno”. Della benefica dea e delle sue ancelle datrici d’amore, porta nel cuore lo struggente ricordo qualche oscuro marinaio greco-miceneo, che ha solcato, all’alba della civiltà il “tenebroso” mare occidentale.