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Il viaggio di Ulisse: Ciclopi, Eolo, Circe, Sirene e Ogigia

R. C.
26/11/2024

Il viaggio di Ulisse: l'isola dei Ciclopi - l'isola di Eolo - l'isola di Circe - l'isola delle Sirene - l'isola di Ogigia L'Odissea è certamente il più famoso dei Nostoi (Nόστοι, "ritorni"), i poemi greci del ciclo epico che descrivevano il ritorno degli eroi achei in patria dopo la distruzione di Troia.

Il viaggio di Ulisse: l’isola dei Ciclopi – l’isola di Eolo – l’isola di Circe – l’isola delle Sirene – l’isola di Ogigia

L’Odissea è certamente il più famoso dei Nostoi (Nόστοι, “ritorni”), i poemi greci del ciclo epico che descrivevano il ritorno degli eroi achei in patria dopo la distruzione di Troia.

La fama del poema è certamente legata al suo personaggio principale, il greco Odisseo (il nome latino Ulixes deriva da una forma dialettale), l’eroe più famoso di tutta l’antichità, considerato simbolo di astuzia, di diplomazia e di abilità oratoria.

Il poema è uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale, è diviso in XXIV libri e canta le vicende di Ulisse dal momento della sua partenza da Troia al ritorno nella sua patria Itaca. Il peregrinare dell’eroe durò all’incirca venti anni e di seguito, riporto in ordine cronologico le dodici tappe dell’itinerario da lui percorso:

Il viaggio di Ulisse: l’isola dei Ciclopi – l’isola di Eolo, di Circe, delle Sirene e di Ogigia

L’Odissea si svolge principalmente nel Peloponneso e nelle isole ioniche, ma identificare esattamente i luoghi visitati da Ulisse appare quasi impossibile, anche perché il testo offre in genere assai pochi spunti per identificare geograficamente i luoghi. Gli studiosi non sono nemmeno unanimemente concordi nell’identificare l’Itaca di Odisseo con la moderna Itaca, poiché le descrizioni geografiche e il numero di isole dell’arcipelago non corrispondono.

Tradizionalmente si identifica nella Sicilia la terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni, in una delle isole Eolie l’isola in cui Ulisse incontrò il dio Eolo, e in Corfù la terra dei Feaci. Successivamente sono stati proposti molti altri luoghi, la maggior parte di questi situati nell’area mediterranea, ma alcuni studiosi sono anche arrivati ad ipotizzare che Ulisse abbia raggiunto l’Oceano Atlantico o addirittura che tutta la sua vicenda si sia svolta nel Mar Baltico (teoria dell’Omero nel Baltico).

Ma quel che più conta al fine della nostra ricerca è la descrizione geografica dei luoghi che geograficamente vengono descritti dallo stesso Omero nell’Odissea e che sono degni di un’analisi critica. Perciò questa tesina si propone lo scopo di analizzare alcune località che Ulisse visitò personalmente quali l’Isola dei Ciclopi, l’Isola di Eolo, l’Isola di Circe, l’Isola delle Sirene, l’Isola di Ogigia.

Omero chiama quest’isola, prospiciente al paese dei Lotofagi, la terra dei Ciclopi e ci dice che essa è piatta, selvosa e sabbiosa e posta dinanzi alla terraferma.  Nel IX Libro, Ulisse dopo esservi giunto lascia incagliare la nave sulla sabbia e dà una descrizione del luogo sul quale abitavano i Ci

lopi:

“ E arrivammo alla terra dei Ciclopi superbi e senza legge, i quali, fidando negli dei immortali, non piantano, non arano mai: nasce tutto senza semina e senza aratura, il grano, l’orzo e le viti che fioriscono di grappoli sotto la pioggia di Zeus. Davanti al porto non troppo vicina né troppo lontana dalla terra dei Ciclopi c’è un’isola piatta e selvosa, dove vivono capre che belano, potevano fare bella quest’isola che non è sterile e darebbe frutti ad ogni stagione. Vi sono dei prati, lungo le rive del mare, morbidi e freschi; viti perenni che potrebbero starvi a dimora”.

Alcuni elementi di questo brano avvalorano un’identificazione tra il luogo descritto nell’Odissea e quello di Aci Trezza e della provincia di Catania. Il tipo di coltivazione descritta da Ulisse, quella della vite, delle olive  e degli agrumi è ancora oggi presente nella provincia siciliana e sono tutte coltivazioni tipiche del paesaggio mediterraneo. Comunemente la terra dei Ciclopi viene identificata con Aci Trezza e con il territorio della provincia di Catania. Di fronte al Lido di Aci Trezza si stagliano i faraglioni o Isole dei Ciclopi, otto scogli basaltici di origine vulcanica , che secondo la leggenda tramandata da Omero vennero scagliati da Polifemo, contro Ulisse in fuga. Infatti nell’Odissea viene detto:

 “La cima di un monte alto divelse e lo scagliò davanti alla nave dalla prora azzurrina, e intanto sollevò un masso ancora più grande…” .

Singolari per la loro natura gelologica, lo sono ancora di più per i fondali circostanti, protetti in una Riserva Naturale Marina. La flora sommersa comprende vaste praterie di posidonia e ben 300 tipi di

alghe; anche la fauna è molto ricca. Oggi Aci Trezza si presenta come un centro marinaro di viva tradizione con un’importante villeggiatura e porto turistico. Il porto di Aci Trezza che è attrezzato con rifornimento di carburante ed acqua, cantieri navali e gru di alaggio è probabilmente rimasto nello stesso punto in cui era quello di cui c’è un breve accenno nell’Odissea. Una caratteristica importante di questa di questa zona marittima è la sua altitudine. Le pareti rocciose che la formano ar

ivano anche a cento metri  e vi sono numerose grotte formate grazie al lento lavoro di abrasione del mare. Il territorio in provincia di Catania è costituito da un’orografia molto varia. Della zona fanno parte sia la pianura più estesa della Sicilia , la Piana di Catania, sia il monte Etna. La Piana di Catania è un bassopiano alluvionale fra i monti Iblei a sud e l’Etna a nord, creato dal fiume Simeto e dai suoi affluenti Dittaìno  e Gornaluga. Fin dai tempi romani fu nota per la sua fertilità che venne sempre meno a causa delle inondazioni e la malaria. Dal 1700 vengono effettuati lavori di bonifica idraulica. Ora la piana è in gran parte coltivata ed è rimasto poco spazio per il pascolo. Lungo la costa gli agrumeti sono molto diffusi, i seminativi nell’entro terra, i vigneti sulle prime pendici vulcaniche.

La città di Catania sorge al margine settentrionale dell’ampia insenatura costiera  a cui dà il nome: il Golfo di Catania. Attualmente vi è un fiorente mercato agricolo, infatti nella Piana di Catania vi è uno sviluppo della produzione di cereali, del tabacco e dell’allevamento. Catania è per popolazione e importanza la seconda città della Sicilia, vivace ed elegante, bellissima nel suo nobile e sontuoso aspetto barocco settecentesco, nelle sue lunghe vie rettilinee. Il suo porto costituito nel 1700 oggi ha raggiunto un traffico discreto ed ha giocato un ruolo importantissimo per l’economia locale.

Il clima  e la posizione sul mare alle falde dell’Etna ne fanno un centro turistico di grande avvenire e un gradevole soggiorno climatico invernale. E’ inoltre un centro culturale, commerciale e industriale di primissima importanza dotato di un attivo porto commerciale. Il Monte Etna detto anche Mongibello è uno dei maggiori vulcani attivi della terra, alto 3296 m, è un importante rilievo conico che si eleva isolato in riva al mare Ionio, quasi a metà della costa orientale della Sicilia. La vegetazione che contorna il vulcano è costituita da agrumi, vigneti, mandorleti, uliveti e alberi fruttiferi, tra i 1300 e i 2000 m sono più estesi i boschi formati da castagni, querce, elci, larici, faggi, betulle, pioppi, pini, ginestre mentre oltre i 2000 m si trova la fascia deserta dove si incontrano ginepri. Nella fascia inferiore della zona coltivata si osservano i residui della vegetazione mediterranea e un gran numero di piante importate come i banani, gli eucalipti, le araucarie, varie palme, il pino italico e il ficodindia.

Il resto del territorio è in prevalenza collinare con cime che raggiungono  i 700 m, soprattutto lungo la zona iblea con rilievi a prevalenza calcarea. La provincia è interessata dal più grande bacino idrografico della Sicilia costituito dal fiume Simeto e dai suoi affluenti. Il bacino proviene dai monti Erei e dalle pendici dei Nebroidi. La portata del bacino è variabile a seconda della stagione e della piovosità. Dalle pendici dei Nebroidi scende anche il fiume Acalantara che segna il confine nord della provincia, che prende acqua in tutte le stagioni raccogliendo acqua dalle sorgenti etnee nutrite dallo scioglimento delle nevi, il quale fiume ha scavato il suo alveo in una colata lavica. Inoltre vi sono anche fiumi sotterranei: il fiume Amenano, il fiume Laognina e il fiume Aci. I laghi presenti nel territorio sono il Gornaluga, formato dall’affluente del Simeto, il Gurnazza, formato da dune costiere e le Salatelle, piccoli bacini di acqua salmastra. Altri lagi sono collocati all’interno di riserve naturali quali il lago Trearie, il lago Gurrida, un lago nato dallo sbarramento lavico dell’eruzione del 1563, vi sono poi alcuni laghi artificiali quali il lago Dirillo e il lago di Ogliastro. Lungo la costa si alternano spiagge di ghiaia e scogliere basaltiche soprattutto tra Acireale e Catania.

Il clima va da quello sub-tropicale di Catania  a quello rigido dell’osservatorio sul vulcano. Questa provincia offre una notevole varietà di climi in conseguenza dell’altitudine e della lontananza o vicinanza dalla costa. Nelle zone etnee è frequente la neve e altre precipitazioni nel periodo invernale. Invece la piana di Catania ha un regime di semiaridità con modeste quantità di precipitazioni concentrate soprattutto nel periodo autunnale sottoforma di nubifragio. Per quanto riguarda l’elemento storico Catania viene fondata nell’VIII secolo a.C. dai coloni calcidesi con il nome di Katane e rimane per tre secoli in mano ai greci. Conquistata dai Romani a partire dall’epoca augustea conosce secoli di ricchezza. Dopo alcuni decenni di dominazione ostrogota Catania viene presa dai Bizantini. Nel XI ha iizio la conquista normanna e nel 1078 ha inizio la costruzione della cattedrale fortificata attono alla quale si va costituendo il centro cittadino. Dalla piccola propreità agricola mussulmana si ritorna al latifondo, interruzione dei traffici con l’Africa e crisi economica accentuata dal grave terremoto del 1169. Con gli Aragonesi vi è una momentanea ripresa ma nei secoli XVI e XVII vi è di nuovo una  crisi economia dovuta all’incursione di pirati, epidemie e carestie. Culmina con l’eruzione del 1669 e il terremoto del 1693 che rade al suolo la città. Dopo l’avvento dell’unità d’Italia co0ncorrono a modificare il volto di Catania il riutilizzo pubblico degli edifici conventuali, la costruzione della ferrovia e il potenziamento del porto. Testimoni dei grandi cambiamenti sociali del secolo saranno Verga, Capuana, De Roberto e Rapisardi.

Dalla terra dei Ciclopi Ulisse giunse all’isola di Eolo, da cui potevano raggiungere la terra dei Padri, la Grecia, con il vento di Ovest, nel V Libro leggiamo:

“E all’isola Eolia arrivammo; qui stava

Eolo Ippotade, caro ai numi immortali,

nell’isola galleggiante: tutta un muro di bronzo,

indistruttibile, la circondava, nuda s’ergeva la roccia”.

Quando Ulisse, reduce dalla guerra di Troia, approdò su quest’sola, Eolo lo ospitò e, commosso dal racconto dell’eroe greco, gli fece dono dell’otre di pelle dentro la quale erano rinchiusi i venti contrari alla navigazione. Durante il viaggio Ulisse fece soffiare solo il dolce Zefiro ma mentre l’eroe dormiva, i compagni di navigazione, credendo che l’otre regalatale da Eolo fosse piena di tesori, l’aprirono liberandone i venti che scatenarono una terribile tempesta dalla quale si salvò solo la nave di Ulisse. Fin dal V secolo a.C., l’isola di Eolo viene identificata con il gruppo delle isole Eolie, ma questa identificazione è errata, infatti è impossibile giungervi con il vento occidentale viaggiando verso la Grecia. Potrebbe procedersi ad un’identificazione con le isole di Pantelleria, Linosa e Lampedusa, ma diversamente da Malta, queste non corrispondono alla descrizione lasciataci da Omero. Malta, infatti, vista dal mare sembra essere l’unica isola; possiamo escludere la Sicilia, che per la sua grandezza, non può certamente essere descritta come un’isola da chi le si avvicina, somigliando di più alla terraferma, inoltre le correnti marine, spingono le navi dalla Sirte proprio in prossimità di Malta.  La prima spiaggia protetta, che si offre a chi costeggia la costa meridionale di Malta in direzione Est, è il Mars Scirocco, la più grande rada dell’isola. Oggi vi si alzano i resti della fortezza di Birzebbuga a destra. Essi sono il monumento archeologico più importante di Malta del periodo di Ulisse e di Omero (1400 fino all’800 a.C.). Inoltre Malta conobbe un’elevata civilizzazione databile già al terzo millennio a.C.. Omero indica come segno caratteristico dell’alta cultura dell’isola di Eolo le case famose, l’uso del flauto ed una ricca cucina. Tutto questo può coincidere con l’antica ed importante cultura maltese. E che, in effetti, sia possibile venire spinti dai venti dalla Grecia verso Malta lo dice l’evangelista Luca, che negli “Atti degli Apostoli” narra che Paolo, navigando da Creta diretto a Roma, venne da un naufragio sbattuto sulle coste di Malta. Grazie anche a questa autorevole testimonianza, viene una conferma alle nostre precedenti considerazioni, per cui Malta è da considerarsi l’isola di Eolo. Sbarcato per la seconda volta sull’isola di Eolo, ad Ulisse venne negato il diritto di ospitalità e cacciato in malo modo.

Situato nel mar Mediterraneo l’arcipelago maltese si trova a circa 100 km dalle coste meridionali della Sicilia e 350 km a nord della Libia; comprende cinque isole: Malta, Gozo, Comino e le disabitate Lilfola e Cominotto. Grazie alla sua posizione geografica e alla presenza di porti naturali, Malta è stata per secoli un territorio di grande importanza strategica. Per quanto riguarda l’ambiente naturale, l’arcipelago maltese costituisce la punta più elevata di una dorsale sottomarina che si estende dalla Sicilia alla Tunisia. L’isola di Malta è per tutta la sua lunghezza divisa in due da una parete rocciosa. Nella parte occidentale dell’isola i rilievi raggiungono la massima altitudine. La regione settentrionale è rocciosa e caratterizzata da una vegetazione scarsa e rada, mentre la parte meridionale dell’isola è stata parzialmente terrazzata. La costa occidentale è alta, accidentata e spesso inaccessibile. Sulla costa orientale due profonde insenature formano porti naturali, rafforzando così l’importanza strategica di Malta. La capitale, Valletta è situata su una lingua di terra tra le due insenature. Nel territorio maltese non vi sono laghi né fiumi ma solo qualche sorgente.

Il clima è di tipo mediterraneo con estati calde e secche e inverni miti e umidi. La temperatura oscilla da una media di 12° C in gennaio a 25° C nei mesi di luglio e  agosto. Circondato dal mare l’arcipelago è esposto al maestrale, vento freddo che soffia da nord-oves, al grecale vento secco proveniente da nord-est e al caldo scirocco che spira da sud-est.

La vegetazione naturale è pressoché scomparsa tranne che sulla costa. Sono rimaste poche specie legnose fra cui si distinguono l’albero del pane, il fico e l’agnocasto. La fauna è in prevalenza costituita da piccoli mammiferi quali donnole, ricci, ratti e conigli. Poiché Malta è situata sulla rotta principale degli uccelli migratori sull’isola è possibile osservare diverse specie quali l’aquila pescatrice, l’avvoltoio, la rondine e il cuculo. Oltre il 90% della popolazione vive sull’isola principale dove si riscontra la massima densità demografica. L’attività portuale e i cantieri navali costituiscono la base del benessere economico del Paese. Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna l’industria cantieristica e navale viene nazionalizzata. Circa il 40% della superficie territoriale è coltivata, le colture principali sono frumento, orzo, patate pomodori, cipolle, agrumi, uva. Il terreno agricolo è in prevalenza sistemato a terrazze.

Nel X Libro dell’Odissea Omero narra le vicende che vedono l’approdo di Ulisse e dei suoi compagni sull’Isola di Eea, abitata da Circe. Ulisse sbarcato durante la notte, non aveva potuto riconoscere l’isola in cui giunse. Stanchi dalle peripezie passate, Ulisse ed i suoi compagni riposarono per due giorni e due notti, al terzo giorno: 

“Allora io la mia lancia prendendo, ed il coltello affilato, rapidamente, lasciata nave, salivo in vedetta, se opere mai di mortale vedessi o sentissi la voce. E su una cima rocciosa m’inerpicavo ad esplorare e mi apparve del fumo su dalla terra ampie strade, e in casa di Circe, tra i folti querceti e la macchia”.

Da questi riferimenti e per il percorso successivo si potrebbe ricostruire, dai dati omerici, una direzione Nord-Est.

Questa direzione corrisponde anche qui alle correnti marine, che conducono realmente ad una piccola isola, Ustica a Nord di Palermo. Per alcuni studiosi sarebbe questa l’unica isola di cui si può dire, come fa Omero:

“[…] che intorno il mare infinito corona”.

Si esclude la tradizionale identificazione con il monte Circeo in Lazio, che è unita alla terraferma e si escludono anche le isole Egadi o Lipari, perché appartengono ad un gruppo di isole.

Da Ustica, così come narra Omero, si può raggiungere col vento del Nord, in un solo giorno, la costa. Tenendo conto di ciò, si può stabilire che in Ustica è stata trovato il solo luogo che può corrispondere ai dati nautici forniti da Omero. Il centro abitato di Ustica è su un riparo tufaceo tra gli scali di Cala Santa Maria e Gala Giconi. L’isola è nota soprattutto per la sua riserva marina istituita nel 1987. Le scogliere di lava scurissima si animano sott’acqua dei colori della fauna invertebrata e della presenze in quantità inusitata di pesci di ogni dimensione. Nella riserva che dispone di un centro visite e di un museo, sono stati allestiti sentieri subacquei e si effettuano escursioni con barche sul fondo trasparente. Essa è di origine vulcanica: sono presenti infatti dei rilievi collinari che rappresentano le vestigia di antichi vulcani (Punta Maggiore, 244 m; Guardia dei Turchi, 238 m) e dividono l’isola in due versanti.   Sull’isola è presente la stazione meteorologica di Ustica, ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Le precipitazioni medie annue si attestano a 505 mm, mediamente distribuite in 68 giorni di pioggia, con minimo in estate e picco massimo in autunnoinverno. L’umidità relativa media annua fa registrare il valore di 78,2 % con minimo di 74 % a luglio e massimo di 82 % a gennaio; mediamente si contano 18 giorni di nebbia all’anno. La vegetazione naturale è piuttosto scarna, è stata comunque ampiamente stravolta dalla presenza dell’uomo e dalle sue coltivazioni. Tra le specie di flora più rappresentate troviamo macchia Artemisia arborea, Lentisco, Calycotome spinosa e Ginestra. Meno diffusa la presenza di piante da frutto come ulivi, mandorli e viti. È presente anche una diffusa steppa mediterranea. Ustica è anche nota per essere l’habitat naturale dell’Apis mellifera sicula.

La flora e la fauna marina assomigliano per alcuni versi a quella tropicale che la rendono meta ambita per gli appassionati di immersioni. Sono presenti coralli, rose di mare e una variopinta vegetazione. La fauna marina è composta principalmente da aragoste, cernie, dentici, ricci, saraghi, orate, sgombri, barracuda, pesci pappagallo, pesci balestra e spugne.

Gli antichi romani la chiamavano Ustica (da ustum = bruciato) mentre i greci, Osteodes, Οστεωδες ossia ossario, per i resti di mercenari che vi sarebbero morti per fame e sete. Da alcuni viene ritenuta la dimora della maga Circe, citata nell’Odissea, che trasformava gli incauti visitatori in maiali. Gli insediamenti umani risalgono al Paleolitico; alcuni scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di un antico villaggio cristiano. Sepolture, cunicoli e una gran quantità di reperti archeologici ritrovati anche sott’acqua, a causa dei tanti naufragi avvenuti nel tempo, testimoniano una presenza costante, nel luogo, di vari antichi popoli mediterranei, Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani che vi lasciarono vestigia dappertutto. In seguito divenne base dei pirati saraceni e lo rimase per lunghissimo tempo. Nel VI secolo vi si stabilì una comunità Benedettina, ma fu ben presto costretta a spostarsi a causa delle imminenti guerre fra Cristiani ed Arabi. Nel Medioevo fallirono dei tentativi di colonizzare l’isola a causa delle incursioni dei pirati barbareschi, che fecero dell’isola un proprio rifugio.

Nel 1759 Ferdinando IV di Borbone impose una colonizzazione dell’isola; furono edificate due torri di guardia, Torre Santa Maria e Torre Spalmatore, che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, cisterne per raccogliere l’acqua piovana e case che costituirono il centro abitato principale presso la Cala Santa Maria. Vi vennero coloni palermitani, trapanesi ed eoliani, accompagnati da un centinaio di soldati. Ustica al tempo dei Borboni fu anche un luogo di confino per prigionieri politici e vi restò anche sotto casa Savoia. Durante il regime fascista Ustica fu luogo di confino. Vi furono ristretti Antonio Gramsci e Ferruccio Parri. Nel 1961 il confino fu abolito a causa di proteste popolari e da allora iniziò a svilupparsi il turismo. La località è conosciuta poiché utilizzata come punto di riferimento geografico della cosiddetta Strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980, quando il volo Itavia da Bologna a Palermo, precipitò a una notevole distanza dall’isola; in quell’episodio morirono ottantuno persone tra passeggeri e equipaggio. Le cause della sciagura non sono mai state accertate con sicurezza, tuttavia quelle più accreditate sono una bomba a bordo oppure l’esplosione di un missile sparato da un aereo da guerra in volo nella zona.

IV. – IL VIAGGIO DI ULISSE – L’ISOLA DELLE SIRENE

Nel XII Libro dell’Odissea Circe si rivolge ad Ulisse dicendo:

 “Giungerai per prima cosa dalle Sirene che incantano tutti gli uomini che passano loro vicino. Chi senza saperlo si accosta e ode la voce delle Sirene non torna più a casa, i figli e la sposa non gli si stringono intorno festosi. Le Sirene lo stregano con il loro canto soave, sedute sul prato; intorno cumuli d’ossa di uomini imputriditi”.

Questa è la descrizione che la maga dà all’eroe sul pericolo che si può correre passando vicino alle Sirene: il rischio di non rivedere più la patria, la moglie e i figli. Ulisse parla di un’isola delle Sirene che è stata comunemente identificata con l’isola di Capri, per la sua posizione nel Mediterraneo. L’isola di Capri è un blocco di calcare grigio e azzurro con alte coste a strapiombo sul mare, punteggiate di grotte e di scogli dalle forme singolari. Staccatasi dalla penisola sorrentina in tempi antichissimi fu prima colonia greca, per divenire in seguito sede stabile dell’Imperatore Tiberio che vi fece costruire un gran numero di ville. Nell’Ottocento la scoperta della Grotta Azzurra la lanciò nell’orbita del grande turismo internazionale, attratto dal clima mite dell’isola e dalla bellezza dei suoi scenari naturali. L’ampia caverna sprofondata nel tempi in seguito al bradisismo, presenta una modesta apertura sul pelo dell’acqua, due metri in larghezza per poco più di un metro in altezza, la luce che penetra dalla parte sommersa trasmette alla superficie dell’acqua e alle pareti della volta i riflessi azzurri e argentei che la rendono così suggestiva. Capri è il capoluogo dell’sola, è situata a 142 m tra due colline con le sue caratteristiche case bianche  a terrazze in tufo e calcare, separate da tortuose stradine. A picco sulla costa orientale dell’isola, è il risultato spettacolare dell’erosione della roccia calcarea. Una ripida scalinata porta alla Grotta di Matromania. Anticamente dedicata al culto di Cibele. Fronteggia il porto lo scoglio del Monacore, mentre a destrasi innalzano i tre celebri Faraglioni. Il secondo centro dell’isola è Anacapri (m 275) che sorge sulle pendici del monte Solaro alto 589 m , con le bianche case che spiccano fra il verde di vigne e uliveti. L’isola consta di due altipiani fra i quali vi è una depressione centrale. L’altopiano occidentale, quello di Anacapri ha forma quadrangolare e s’innalza fino a 589 m nel monte Solaro, vetta massima di Capri. L’altopiano orientale erge con pareti ripide che per tre lati strapiombano sul mare, ma tuttavia è più accessibile. La sella di questi altipiani è fertile  e di facile accesso.

La natura permeabile dei terreni calcarei che costituiscono l’sola, la rende povera di acque superficiali. Le acque piovane vengono assorbite nel sottosuolo e defluiscono nel mare grazie a dei piccolo sbocchi lungo la linea di costa. Per l’acqua potabile Capri si serve di navi cisterne.

La flora di Capri è simile a quella della penisola sorrentina, la forma comune di vegetazione spontanea è la macchia sempreverde, che riveste i luoghi più elevati dell’isola; poi vi sono il ginepro, il lentisco, il corbezzolo, la ginestra, l’erica, il mirto e l’elce. Interessante è anche la fauna, di cui una specie molto rara è la lucertola azzurra che vive sullo scoglio più esterno dei tre enormi blocchi di faraglioni. Nessuno può resisterle. La sua bellezza, il suo fascino, le sue vivaci tinte, il suo paesaggio la rendono unica. E’ il sogno proibito. La meta agognata. Il desiderio di Ulisse. Nel XIX secolo un gruppo di letterati, infatti, pare riconoscere nelle spiagge di Capri i luoghi descritti da Omero nell’Odissea. Luoghi in cui Ulisse sosta attirato dal melodioso e ingannatore canto delle sirene. I famosi faraglioni, tre picchi rocciosi a poca distanza dalla riva, creano una suggestiva e affascinante scenografia. Il sole riflettendosi sul mare disegna luci argentee attorno ai faraglioni che sembrano vestirsi di piccoli diamanti. Il primo si chiama Stella, il secondo Faraglione di Mezzo e il terzo Faraglione di Fuori o Scopolo, ovvero promontorio sul mare. I principali centri abitati dell’isola si concentrano ad Anacapri, a Marina Grande e a Marina piccola dove le spiagge sono, spesso affollate dai bagnanti portati dai traghetti. Che sia o meno l’isola omerica, Capri anche senza sirene, non lascia scampo ad alcuno. L’isola emerge da un mare profondo con ripidissime e nude fiancate, con coste quasi ovunque alte e in molti tratti dirupate; su queste fiancate l’azione erosiva delle onde si è accanita,con il favore della natura della roccia è riuscita a scavare grotte di insuperabile bellezza, ad esempio la Grotta Azzurra, la Grotta Verde, La Grotta Bianca e ha contribuito a staccare degli imponenti pilastri rocciosi che come scogli erti adornano la parte meridionale dell’isola (Faraglioni). L’isola che ha forma rettangolare, presenta nella sua metà orientale una lunga insenatura a cui ne corrisponde un’altra nella parte meridionale. Le due rientranze dette Marina Grande e Marina Piccola, finiscono col creare una strozzatura mediana alla quale fa riscontro una minore altitudine, così che questa parte mediana più stretta, più bassa e coperta da terreni geologicamente più nuovi divide l’sola in tre zone: l’occidente, l’oriente e la centrale.

Oltre al turismo, Capri è uno dei luoghi più produttivi della Campania, ha una grande intensità di colture arboree quali ulivi e agrumi, e varietà di colture erbacee, in particolare ortaggi, ma ha soprattutto importanza per i suoi vigneti, che danno un prodotto molto ricercato e molto esportato. Anche la pesca ha un ruolo importante, il porto ha avuto un notevole sviluppo. Il nome di Capri ha due principali spiegazioni, per alcuni deriva dal greco kàpros ovvero cinghiale e per altri dal latino caprae ovvero capra, animali che in passato erano presenti sull’isola con molti esemplari, per altri ancora invece deriva da Caprea cioè “isola dalle pietre aspre”.L’Isola delle Sirene descritta nell’Odissea parrebbe essere proprio Capri che sicuramente con i suoi scogli doveva essere molto pericolosa per gli antichi naviganti. Le Sirene erano per gli antichi greci mostri metà uccello e metà donna che con il loro canto attiravano i marinai. I Greci, che a partire dall’ VIII secolo a.C. insediarono importanti colonie sulle coste della Campania, abitarono l’isola di Capri. Durante il periodo romano Capri divenne uno snodo importante dell’Impero. Augusto innamoratosi dell’isola la tolse alla giurisdizione di Napoli per passarla sotto il dominio diretto di Roma. Il suo successore, Tiberio, ereditò dal predecessore l’amore per Capri e vi trasferì la sua residenza per ben 10 anni.
Con la caduta dell’impero romano l’isola tornò alle dipendenze di Napoli. I continui saccheggi dovuti ai pirati resero l’isola molto insicura e l’imperatore Ludovico II affidò nell’866 d.C. l’isola agli amalfitani, in questo periodo storico la comunità di Anacapri divenne l’insediamento urbano principale proprio perché meno esposto ai saccheggi. Durante il periodo spagnolo, e più precisamente il 24 ottobre 1496 , Federico I di Napoli divise definitivamente i destini delle comunità di Capri e di Anacapri. Anche i Borboni apprezzarono la bellezza dell’isola e Ferdinando IV ne istituì una sua riserva di caccia. Con l’ottocento Capri  acquista una nuova veste e diventa meta privilegiata di viaggiatori importanti, poeti, scrittori e pittori.

V. IL VIAGGIO DI ULISSE – L’ISOLA DI OGIGIA

Ogigia (in lingua greca Ὠγυγίη), nell’Odissea è l’isola dove Ulisse si trova a sostare per otto anni dopo le lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. In questa isola vive Calipso, una ninfa innamoratasi dell’eroe itacese a tal punto da non volerlo più lasciar partire se non a seguito di un ordine esplicito di Hermes, a sua volta inviato da Zeus. La ninfa ne informa l’eore ma questo diffida temendo un attentato alla propria vita; altresì, dopo un solenne giuramento di Calipso, Ulisse si prepara a partire.

Costruitosi una zattera Ulisse giungerà con essa presso l’isola dei Feaci in cui grazie all’intercessione della principessa Nausicaa otterrà di essere finalmente accompagnato e sbarcato alla natia Itaca. Sono diverse le proposte di posizionamento di Ogigia nella geografia reale: secondo Bérard appena fuori dallo stretto di Gibilterra oppure, secondo tradizioni locali della costa croata, l’isola di Meleda; secondo altri autori come Bradford invece è l’isola di Gozo nell’arcipelago maltese, dove è possibile visitare la “grotta di Calipso” che sovrasta la spiaggia rossa della Baia di Ramla; ancora, l’isola di Gavdos a sud della Grecia. Secondo alcuni recenti studi, Ogigia si troverebbe di fronte alla costa calabra del Mar Jonio, in corrispondenza della Secca di Amendolara, sita a largo dell’omonimo comune, per altri ancora come Butler si tratterebbe del’isola di Pantelleria. Questa isola viene descritta da Odisseo come un posto paradisiaco. Già gli sto­rici dell’antichità non sa­pe­vano più dove essa fosse si­tuata. Quelli mo­derni con­cor­dano nel fatto che l’isola di Ca­lipso sia da ri­cer­carsi nei mari dell’Italia Me­ri­dio­nale, es­sendo definitivamente tra­mon­tata la vec­chia tesi del Bé­rard, che la po­neva nel lon­tano stretto di Gi­bil­terra, cioè alle Co­lonne d’Ercole, che rappresentavano il li­mite del mondo al­lora co­no­sciuto. E ve­niamo all’identificazione: sono da esclu­dere su­bito le isole del golfo di Na­poli, le Tre­miti, le Eo­lie. Le prime perché vicinissime alla terra, le al­tre due in quanto veri e pro­pri arcipelagi. Da esclu­dere an­che la solitaria Ustica, perché troppo al di fuori, per quello che sap­piamo at­tual­mente, delle rotte an­ti­che. Per la vi­ci­nanza alla ter­ra­ferma e perché anch’esse arcipelago sono in­fine da esclu­dere le Egadi. Non re­stano dun­que che le isole di Malta, Lam­pe­dusa e Pan­tel­le­ria. Isole che, dalle ul­time co­no­scenze archeologiche, sap­piamo lam­bite dalla marineria greco-​​micenea e forse dalla più an­tica marineria cretese. Omero, per Ogi­gia è categorico: si tratta di un’isola che non né ha al­tre nelle vi­ci­nanze. Ogi­gia, l’isola meravigliosa del Me­di­ter­ra­neo occidentale, è per Omero “l’ombelico del mare”, quindi il cen­tro per antonomasia. Infatti è indubbia la per­fetta cen­tra­lità geo­gra­fica dell’isola di Pan­tel­le­ria nell’intero ba­cino del mare Me­di­ter­ra­neo. Ma Omero non in­ten­deva dire que­sto, o me­glio non solo que­sto. Per al­cuni versi ome­rici è necessario pro­ce­dere con un al­tro e più sot­tile li­vello di let­tura, quello eso­te­rico. Come ab­biamo già scritto, l’Odissea, poema ini­zial­mente orale, è co­struito di fatto sui rac­conti e le leg­gende tra­man­dati dai ma­ri­nai greci nella loro epo­cale corsa verso il mare occidentale. Quindi quando Omero dice “om­be­lico del mare”, in­tende dire che siamo in pre­senza di un “om­pha­los”, cioè un cen­tro sa­cro, un’isola sa­cra sede di una di­vi­nità, in questo caso ri­spon­dente al mi­ste­rioso nome di Ca­lipso, ipo­stasi della preistorica Dea dell’Amore, che a Pantelleria era presente. L’iden­ti­fi­ca­zione di Ogi­gia con Pan­tel­le­ria quindi non è che un’ulteriore conferma.

È in età neo­li­tica che si ri­scon­trano, at­tra­verso inconfutabili testimonianze ar­cheo­lo­gi­che, le prime tracce di frequentazione per l’isola di Pan­tel­le­ria. La lo­ca­lità interessata è quella di con­trada Mursia-​​Cimillìa. Qui, all’alba della ci­viltà, sbarca il mi­ste­rioso po­polo dei Sesi, co­struendo sull’altura di Ci­mil­lìa un po­de­roso vil­lag­gio for­ti­fi­cato ed uti­liz­zando la sot­to­stante cala quale an­co­rag­gio per le pro­prie ru­di­men­tali im­bar­ca­zioni. Essi com­mer­ciano l’oro nero dell’antichità, l’ossidiana, di cui l’isola è ricca. Solo al­tre rare lo­ca­lità, nell’intero ba­cino del Me­di­ter­ra­neo, go­dono di que­sta pe­cu­lia­rità. Ma non deve es­sere stata la sola molla del com­mer­cio a spin­gere quelle genti. Come sem­pre, per i po­poli an­ti­chi, agi­scono an­che mo­tivi magico-​​religiosi. Non deve es­sere un caso che il vil­lag­gio for­ti­fi­cato sorga nelle im­me­diate vi­ci­nanze delle col­li­nette di Mur­sia dal ca­rat­te­ri­stico co­lore ros­sa­stro. An­cora oggi esse sono in­tese con il nome di Cud­die Rosse. In un ar­caica lin­gua sa­crale me­di­ter­ra­nea pre-​​indoeuropea con il ter­mine GUG si in­dica il nome di una pie­tra ros­sa­stra. Terra sa­cra quindi per gli an­ti­chi perche ba­gnata dal san­gue della grande dea ma­dre. Nella stessa lin­gua sa­cra con il ter­mine GI-​​GUN si in­dica poi il tem­pio, il sancta sanc­to­rum, cioè il luogo abi­tato dalla divinità.

Gi-​​gun = Ogi­gia = cen­tro sa­cro o om­pha­los per­chè sede pre­scelta dalla Dea Ma­dre e di con­se­guenza della Fer­ti­lità. Stu­pe­fa­cente l’analogia che pre­senta l’etimologia del nome Ogi­gia con tutti gli al­tri nomi avuti dall’isola nel corso dei secoli.

Gran parte dei to­po­nimi di Pan­tel­le­ria de­riva da voci arabe, con l’eccezione pro­prio della fa­scia di co­sta di più an­tica fre­quen­ta­zione, che pre­senta dei to­po­nimi di chiara ori­gine greca. Po­trebbe trat­tarsi di re­mi­ni­scenze bi­zan­tine, come lo stesso nome Pan­tel­le­ria, ma an­che di qual­cosa più an­tico. La lo­ca­lità Scauri, l’altro porto di Pan­tel­le­ria, è pa­rola greca che sta ap­punto per scalo, porto. Un’antichissima leg­genda vuole che gli abi­tanti del po­sto, gli Sca­vi­rioti, siano i più astuti dell’isola per via della van­tata di­retta di­scen­denza da Ulisse.  Pro­prio l’ampia grotta di Sa­ta­rìa con le sue calde ac­que ter­mali si suole, per tra­di­zione, in­di­care quale splen­dida di­mora della dea Ca­lipso, si­gnora dell’omerica isola dell’amore, Ogi­gia. Le ac­que ter­mali di que­sta grotta, fin dall’antichità, sono fa­mose per le ot­time qua­lità te­ra­peu­ti­che nel campo gi­ne­co­lo­gico, so­prat­tutto nel com­bat­tere la ste­ri­lità. Da qui, per gli an­ti­chi, im­ma­gi­nare che ciò sia il dono mu­ni­fico di una be­ne­vole dea della fe­con­dità, na­sco­sta nelle ac­que, il passo è breve. D’altronde l’esistenza di riti della fe­con­dità è at­te­stata, per l’isola, an­che da al­tre testimonianze.  Pantelleria è la più grande isola intorno alla Sicilia, lega le proprie notorietà alle tradizionali coltivazioni dell’uva zibibbo, dalla quale gli agricoltori panteschi traggono un delizioso passito, e del cappero che viene raccolto in ragione di 200 tonnellate l’anno. Il comune copre l’intera isola di Pantelleria. Si trova a 85 km dalla Sicilia e a 70 dall’Africa. Il suo territorio è di origine vulcanica. Il territorio del comune va dal livello del mare ad una altezza di 836 m sulla Montagna Grande. Si caratterizza per la straordinaria singolarità del suo paesaggio in cui agli elementi naturali (colate laviche a blocchi, cale e faraglioni) si aggiungono i manufatti creati dall’uomo per vivere e raccogliere abbondanti ed unici raccolti agricoli; muri a secco (con la funzione di contenere il terreno, delimitare la proprietà fondiaria e proteggere dal vento); i Giardini panteschi (costruzioni cilindriche in muratura di pietra lavica a secco con la duplice funzione di proteggere gli agrumi dal vento e di controllare gli effetti micro-climatici per un giusto apporto di acqua alla pianta laddove l’isola ne è sprovvista), i dammusi (fabbricati rurali con spessi muri a secco, cubici, con tetti bianchi a cupola ed aperture ad arco a tutto sesto, atavici esempi di architettura bio-climatica) di chiare discendenze arabe.
Pantelleria è detta anche isola del vento, in quanto i venti si fanno sentire notevolmente durante tutto l’anno, rendendo però l’isola fresca anche durante la torrida stagione estiva. Il porto dell’isola permette il collegamento regolare con i porti di Trapani e Mazara del Vallo. Pantelleria è dotata di un aeroporto ed è collegata all’Italia continentale con voli di linea.

Le popolazioni originarie di Pantelleria non provenivano dalla Sicilia, ma erano di origine iberica. Il primo insediamento è il villaggio fortificato di Mursia, dell’Età del Bronzo ( circa 2000 a.C.). Dopo un considerevole lasso di tempo, durante cui l’isola rimase probabilmente disabitata, nel territorio si fanno notare diverse costruzioni di epoca punica, fra cui alcune cisterne, nonché tombe ed altri manufatti di terracotta. Il nome di Pantelleria, deriva dall’arabo ” bintu al riah”, ossia figlia del vento. I Romani occuparono l’isola nel 255 a.C. Nel 700 la popolazione cristiana venne sterminata dagli Arabi, e nel 1123 fu conquistata dai Normanni di Ruggero I di Sicilia. Nel 1311 una flotta aragonese, al comando di Luigi di Requesens vi conseguì una notevole vittoria, e la sua famiglia ottenne il principato dell’isola fino al 1511, quando fu messa a ferro e fuoco dai turchi. Nel 1943, durante la II Guerra Mondiale, la conquista di Pantelleria fu ritenuta di importanza strategica dalla truppe alleate che si preparavano ad invadere la Sicilia, tanto che l’isola fu pesantemente bombardata dal mare e dal cielo. Il nome Ca­lipso ha alla base la ra­dice Kel nel suo si­gni­fi­cato di ve­lare, na­scon­dere, quindi Ka­lipso = l’occulta, la na­sco­sta (nelle ac­que). Ha la stessa ra­dice di Ki­me­lio = Ci­mil­lìa (te­soro o bene na­sco­sto), lo­ca­lità sa­crale dove i neo­li­tici dei Sesi, in enig­ma­ti­che tombe-​​templi, ap­pren­de­vano forse il de­fi­ni­tivo se­greto ini­zia­tico “dell’eterno ri­torno”. Della be­ne­fica dea e delle sue an­celle da­trici d’amore, porta nel cuore lo strug­gente ri­cordo qual­che oscuro ma­ri­naio greco-​​miceneo, che ha sol­cato, all’alba della ci­viltà il “te­ne­broso” mare oc­ci­den­tale.

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Redazione Controcampus Controcampus è Il magazine più letto dai giovani su: Scuola, Università, Ricerca, Formazione, Lavoro. Controcampus nasce nell’ottobre 2001 con la missione di affiancare con la notizia e l’informazione, il mondo dell’istruzione e dell’università. Il suo cuore pulsante sono i giovani, menti libere e non compromesse da nessun interesse di parte. Il progetto è ambizioso e Controcampus cresce e si evolve arricchendo il proprio staff con nuovi giovani vogliosi di essere protagonisti in un’avventura editoriale. Aumentano e si perfezionano le competenze e le professionalità di ognuno. Questo porta Controcampus, ad essere una delle voci più autorevoli nel mondo accademico. Il suo successo si riconosce da subito, principalmente in due fattori; i suoi ideatori, giovani e brillanti menti, capaci di percepire i bisogni dell’utenza, il riuscire ad essere dentro le notizie, di cogliere i fatti in diretta e con obiettività, di trasmetterli in tempo reale in modo sempre più semplice e capillare, grazie anche ai numerosi collaboratori in tutta Italia che si avvicinano al progetto. Nascono nuove redazioni all’interno dei diversi atenei italiani, dei soggetti sensibili al bisogno dell’utente finale, di chi vive l’università, un’esplosione di dinamismo e professionalità capace di diventare spunto di discussioni nell’università non solo tra gli studenti, ma anche tra dottorandi, docenti e personale amministrativo. Controcampus ha voglia di emergere. Abbattere le barriere che il cartaceo può creare. Si aprono cosi le frontiere per un nuovo e più ambizioso progetto, per nuovi investimenti che possano demolire le barriere che un giornale cartaceo può avere. 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Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei nostri lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. La Storia Controcampus è un periodico d’informazione universitaria, tra i primi per diffusione. Ha la sua sede principale a Salerno e molte altri sedi presso i principali atenei italiani. Una rivista con la denominazione Controcampus, fondata dal ventitreenne Mario Di Stasi nel 2001, fu pubblicata per la prima volta nel Ottobre 2001 con un numero 0. Il giornale nei primi anni di attività non riuscì a mantenere una costanza di pubblicazione. Nel 2002, raggiunta una minima possibilità economica, venne registrato al Tribunale di Salerno. Nel Settembre del 2004 ne seguì la registrazione ed integrazione della testata www.controcampus.it. Dalle origini al 2004 Controcampus nacque nel Settembre del 2001 quando Mario Di Stasi, allora studente della facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno, decise di fondare una rivista che offrisse la possibilità a tutti coloro che vivevano il campus campano di poter raccontare la loro vita universitaria, e ad altrettanta popolazione universitaria di conoscere notizie che li riguardassero. Il primo numero venne diffuso all’interno della sola Università di Salerno, nei corridoi, nelle aule e nei dipartimenti. Per il lancio vennero scelti i tre giorni nei quali si tenevano le elezioni universitarie per il rinnovo degli organi di rappresentanza studentesca. In quei giorni il fermento e la partecipazione alla vita universitaria era enorme, e l’idea fu proprio quella di arrivare ad un numero elevatissimo di persone. Controcampus riuscì a terminare le copie date in stampa nel giro di pochissime ore. Era un mensile. La foliazione era di 6 pagine, in due colori, stampate in 5.000 copie e ristampa di altre 5.000 copie (primo numero). Come sede del giornale fu scelto un luogo strategico, un posto che potesse essere d’aiuto a cercare fonti quanto più attendibili e giovani interessati alla scrittura ed all’ informazione universitaria. La prima redazione aveva sede presso il corridoio della facoltà di giurisprudenza, in un locale adibito in precedenza a magazzino ed allora in disuso. La redazione era quindi raccolta in un unico ambiente ed era composta da un gruppo di ragazzi, di studenti (oltre al direttore) interessati all’idea di avere uno spazio e la possibilità di informare ed essere informati. Le principali figure erano, oltre a Mario Di Stasi: Giovanni Acconciagioco, studente della facoltà di scienze della comunicazione Mario Ferrazzano, studente della facoltà di Lettere e Filosofia Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna nei pressi della stessa università di Salerno. Nei giorni successivi alla prima distribuzione, molte furono le persone che si avvicinarono al nuovo progetto universitario, chi per cercarne una copia, chi per poter partecipare attivamente. Stava per nascere un nuovo fenomeno mai conosciuto prima, Controcampus, “il periodico d’informazione universitaria”. “L’università gratis, quello che si può dire e quello che altrimenti non si sarebbe detto”, erano questi i primi slogan con cui si presentava il periodico, quasi a farne intendere e precisare la sua intenzione di università libera e senza privilegi, informazione a 360° senza censure. Il giornale, nei primi numeri, era composto da una copertina che raccoglieva le immagini (foto) più rappresentative del mese, un sommario e, a seguire, Campus Voci, la pagina del direttore. La quarta pagina ospitava l’intervista al corpo docente e o amministrativo (il primo numero aveva l’intervista al rettore uscente G. Donsi e al rettore in carica R. Pasquino). Nelle pagine successive era possibile leggere la cronaca universitaria. A seguire uno spazio dedicato all’arte (poesia e fumettistica). I caratteri erano stampati in corpo 10. Nel Marzo del 2002 avvenne un primo essenziale cambiamento: venne creato un vero e proprio staff di lavoro, il direttore si affianca a nuove figure: un caporedattore (Donatella Masiello) una segreteria di redazione (Enrico Stolfi), redattori fissi (Antonella Pacella, Mario Bove). Il periodico cambia l’impaginato e acquista il suo colore editoriale che lo accompagnerà per tutto il percorso: il blu. Viene creata una nuova testata che vede la dicitura Controcampus per esteso e per riflesso (specchiato), a voler significare che l’informazione che appare è quella che si riflette, quello che, se non fatto sapere da Controcampus, mai si sarebbe saputo (effetto specchiato della testata). La rivista viene stampa in una tipografia diversa dalla precedente, la redazione non aveva una tipografia propria, ma veniva impaginata (un nuovo e più accattivante impaginato) da grafici interni alla redazione. Aumentarono le pagine (24 pagine poi 28 poi 32) e alcune di queste per la prima volta vengono dedicate alla pubblicità. Viene aperta una nuova sede, questa volta di due stanze. Nel Maggio 2002 la tiratura cominciò a salire, fu l’anno in cui Mario Di Stasi ed il suo staff decisero di portare il giornale in edicola ad un prezzo simbolico di € 0,50. Il periodico era cosi diventato la voce ufficiale del campus salernitano, i temi erano sempre più scottanti e di attualità. Numero dopo numero l’obbiettivo era diventato non più e soltanto quello di informare della cronaca universitaria, ma anche quello di rompere tabù. Nel puntuale editoriale del direttore si poteva ascoltare la denuncia, la critica, la voce di migliaia di giovani, in un periodo storico che cominciava a portare allo scoperto i risultati di una cattiva gestione politica e amministrativa del Paese e mostrava i primi segni di una poi calzante crisi economica, sociale ed ideologica, dove i giovani venivano sempre più messi da parte. Disabilità, corruzione, baronato, droga, sessualità: sono questi alcuni dei temi che il periodico affronta. Nel 2003 il comune di Salerno viene colto da un improvviso “terremoto” politico a causa della questione sul registro delle unioni civili, “terremoto” che addirittura provoca le dimissioni dell’assessore Piero Cardalesi, favorevole ad una battaglia di civiltà (cit. corriere). Nello stesso periodo Controcampus manda in stampa, all’insaputa dell’accaduto, un numero con all’interno un’ inchiesta sulla omosessualità intitolata “dirselo senza paura” che vede in copertina due ragazze lesbiche. Il fatto giunge subito all’attenzione del caporedattore G. Boyano del corriere del mezzogiorno. È cosi che Controcampus entra nell’attenzione dei media, prima locali e poi nazionali. Nel 2003 Mario Di Stasi avverte nell’aria segnali di cambiamento sia della società che rispetto al periodico Controcampus. Pensa allora di investire ulteriormente sul progetto, in redazione erano presenti nuove figure: Ernesto Natella, Laura Muro, Emilio C. Bertelli, Antonio Palmieri. Il periodico aumenta le pagine, (44 pagine e poi 60 pagine), è stampato interamente a colori, la testata è disegnata più piccola e posizionata al lato sinistro della prima pagina. La redazione si trasferisce in una nuova sede, presso la palazzina E.di.su del campus di Salerno, questa volta per concessione dell’allora presidente dell’E.di.su, la Professoressa Caterina Miraglia che crede in Controcampus. Nello stesso anno Controcampus per la prima volta entra nel mondo del Web e a farne da padrino è Antonio Palmieri, allora studente della facoltà di Economia, giovane brillante negli studi e nelle sue capacità web. Crea un portale su piattaforma CMS realizzato in asp. È la nascita di www.controcampus.it e l’inizio di un percorso più grande. Controcampus è conosciuto in tutti gli atenei italiani, grazie al rapporto e collaborazione che si instaura con gli uffici stampa di ogni ateneo, grazie alla distribuzione del cartaceo ed alla nuova iniziativa manageriale di aprire sedi - redazioni in tutta Italia. Nel 2004 Mario Di Stasi, Antonio Palmieri, Emilio C. Bertelli e altri redattori del periodico controcampus vengono eletti rappresentanti di facoltà. Questo non permette di sporcare l’indirizzo e linea editoriale di Controcampus, che resta libera da condizionamenti di partito, ma offre la possibilità di poter accedere a finanziamenti provenienti dalla stessa Università degli Studi di Salerno che, insieme alla pubblicità, permettono di aumentare gli investimenti del gruppo editoriale. Ciò nonostante Controcampus rispetto alla concorrenza doveva contare solamente sulle proprie forze. La forza del giornale stava nella fiducia che i lettori avevano ormai riposto nel periodico. I redattori di Controcampus diventarono 15, le redazioni nelle varie università italiane aumentavano. Tutto questo faceva si che il periodico si consolidasse, diventando punto di riferimento informativo non soltanto più dei soli studenti ma anche di docenti, personale e politici, interessati a conoscere l’informazione universitaria. Gli stessi organi dell’istruzione quali Miur e Crui intrecciavano rapporti di collaborazione con il periodico. Dal 2005 al 2009 A partire dal 2005 Controcampus e www.controcampus.it ospitano delle rubriche fisse. Le principali sono: Università, la rubrica dedicata alle notizie istituzionali Uni Nord, Uni Centro e Uni Sud, rubriche dedicate alla cronaca universitaria Cominciano inoltre a prender piede informazioni di taglio più leggero come il gossip che anche nel contesto universitario interessa. La redazione di Controcampus intuisce che il gossip può permettergli di aumentare il numero di lettori e fedeli e nasce cosi da controcampus anche una iniziativa che sarà poi riproposta ogni anno, Elogio alla Bellezza, un concorso di bellezza che vede protagonisti studenti, docenti e personale amministrativo. Dal 2006 al 2009 la rivista si consolida ma la difficoltà di mantenete una tiratura nazionale si fa sentire anche per forza della crisi economia che investe il settore della carta stampata. Dal 2009 ad oggi Nel maggio del 2009 Mario Di Stasi, nel tentativo di voler superare qualsiasi rischio di chiusura del periodico e colto dall’interesse sempre maggiore dell’informazione sul web (web 2.0 ecc), decide di portare l’intero periodico sul web, abbandonando la produzione in stampa. Nasce un nuovo portale: www.controcampus.it su piattaforma francese Spip. Questo se da un lato presenta la forza di poter interessare e raggiungere un vastissimo pubblico (le indicizzazioni lo dimostrano), dall’altro lato presenta subito delle debolezze dovute alla cattiva programmazione dello stesso portale. Nel 2012 www.controcampus.it si rinnova totalmente, Mario Di Stasi porta con se un nuovo staff: Pasqualina Scalea (Caporedattore), Dora Della Sala (Vice Caporedattore), Antonietta Amato (segreteria di Redazione) Antonio Palmieri (Responsabile dell’area Web) Lucia Picardo (Area Marketing), Rosario Santitoro ( Area Commerciale). Ci sono nuovi responsabili di area, ciascuno dei quali è a capo di una redazione nelle diverse sedi dei principali Atenei Italiani: sono nuovi giovani vogliosi di essere protagonisti in un’avventura editoriale. Aumentano e si perfezionano le competenze e le professionalità di ognuno. Questo porta Controcampus ad essere una delle voci più autorevoli nel mondo accademico. Nel 2013 www.controcampus.it si aplia, il portale d'informazione universitario, diventa un network. Una nuova edizione, non più un periodico ma un quotidiano anzi un notiziario in tempo reale. Nasce il Magazine Controcampus, nascono nuovi contenuti: scuola, università, ricerca, formazione e lavoro. Nascono ulteriori piattaforme collegate alla webzine, non solo informazione ma servizi come bacheche, appunti, ricerca lavoro e anche nuovi servizi sociali. Certo le difficoltà sono state sempre in agguato ma hanno generato all’interno della redazione la consapevolezza che esse non sono altro che delle opportunità da cogliere al volo per radicare il progetto Controcampus nel mondo dell’istruzione globale, non più solo università. Controcampus diventa sempre più grande restando come sempre gratuito. Un nuovo portale, un nuovo spazio per chiunque e a prescindere dalla propria apparenza e provenienza. Sempre più verso una gestione imprenditoriale e professionale del progetto editoriale, alla ricerca di un business libero ed indipendente che possa diventare un’opportunità di lavoro per quei giovani che oggi contribuiscono e partecipano all’attività del primo portale di informazione universitaria. Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. Leggi tutto
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