Ritardi garantiti e tutto per le solite manifestazioni! Errore, questo non era un Movimento qualunque: mentre l’autobus di linea variava la normale direzione, si lasciava alle spalle un centinaio di giovani che, passo lento ma deciso, pacificamente, sfilavano con slogan eloquenti: “Assumi uno specializzando, ti costa solo 5 euro all’ora”; “Questo non è un Paese per giovani”.
Dottori, dottoresse, corsisti, professoresse, primari, specializzandi, tirocinanti, strutturati: fautori e fautrici della sanità pubblica bolognese, tutti in strada, in corteo, dalla periferica zona del Policlinico Sant’Orsola, passando sotto le Due Torri, fino Piazza Maggiore. In tutto erano circa 800, contando i colleghi degli altri ospedali: Rizzoli, Bellaria e Maggiore.
Una protesta annunciata, non solo a Bologna: in simultanea, nelle piazze di Ferrara, Parma, Torino, Milano, Firenze, Perugia, Roma, Cagliari e in molte altre città italiane, i giovani studenti di medicina e gli altri operatori sanitari si sono uniti per protestare contro il c.d. Cresci-Italia: nello specifico, contro la norma introdotta (al Senato e passata al vaglio della Camera) nel decreto di semplificazione fiscale, in base alla quale verrebbe disposta la tassazione Irpef sulle borse di studio con reddito annuo superiore a 11.500 euro, includendo anche i corsi di dottorato, di ricerca, di perfezionamento e di specializzazione, i contratti di formazione medica specialistica e gli assegni di studio erogati dalle regioni, tutti importi che sono esentati a norma della legge 476 del 1984.
Allora ho pensato ad una delle mie più care amiche. Conobbi Alessandra La Manna durante i pre-corsi di medicina, ormai più di un lustro fa, in quel pericoloso, breve ed eterno, tempo di confine tra la fine della maturità e l’acquisizione dello status di matricola. Abbiamo la stessa età, ma da lei ho imparato: mi ha insegnato cosa significa avere una “vocazione” e seguirla. Mentre io mi sentivo persa e fuori strada, piena di incertezze sul mio futuro, lei, un giorno, mi guardò negli occhi e disse “io so che sarò un medico, non importa se non passerò i test, perché ci riproverò finché non riuscirò ad entrare, io voglio diventare un medico, questa è la mia vita”.
Grazie alla misura, così chiara, del suo desiderio, capii che mi trovavo nel posto sbagliato, e lei non dovette ritentare la fortuna, perché non solo fu ammessa, ma oggi è specializzanda in chirurgia.
A lei mi sono rivolta per cercare di capire un po’ meglio cosa sta succedendo nel mondo dei medici in rivolta. Ecco la nostra conversazione.
Ci racconti come è iniziata la tua storia accademica?
A metà del quarto anno di liceo scientifico ho deciso di fare il medico. Nessun medico nel mio albero genealogico, da piccola volevo fare l’architetto. Penso che sia stata una decisione maturata nel tempo, mano a mano che a scuola scoprivo il corpo umano, l’anatomia, la biologia e mano a mano che prendevo realmente coscienza della malattia, con esperienze vissute nella mia famiglia. E poi ho sempre odiato avere anche un minimo dolorino e non conoscerne la ragione.
Come mai hai scelto la Facoltà di Medicina dell’Alma Mater di Bologna?
Per diversi motivi: in primo luogo la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’UniBo è descritta come una delle migliori in Italia; poi perché avevo voglia di allontanarmi dalla mia regione di origine, voglia di ampliare i miei orizzonti e di essere indipendente in tutto fuorché nella parte economica ovviamente, voglia di farcela da sola.
Puoi raccontarci la tua avventura universitaria?
La mia esperienza in ambito universitario è stata molto positiva. Professori sempre presenti alle lezioni, sempre disponibili e pronti ad aiutarmi, programmi sempre chiari, date degli esami stabilite in largo anticipo e raramente cancellate. Non ho mai avuto problemi per la preparazione degli esami e non posso assolutamente lamentarmi dei risultati, non mi è stato regalato niente come è giusto che sia ma non mi è stato mai tolto niente ingiustamente. Ho un ottimo ricordo dei miei professori, tutti mi hanno trasmesso passione e amore per la medicina. Tutto questo per quanto riguarda la parte teorica del mio percorso formativo, per quel che concerne l’attività pratica invece la facoltà di Bologna mi ha un po’ deluso. Abbiamo studiato anatomia senza avere un riscontro pratico tranne qualche ora di laboratorio per fare un esempio. I tirocini si sono rivelati nella maggior parte dei casi inutili perdite di tempo, ho imparato a stare addossata alle pareti cercando di non intralciare il lavoro dei vari reparti. E quel poco che ho imparato lo devo non ai tutor assegnati di volta in volta (e pagati per farlo) ma agli specializzandi. E vorrei sottolineare che le tasse universitarie dell’Ateneo bolognese sono tra le più alte del nostro Paese.
E post laurea cosa succede?
Dopo la laurea tutti gli studenti di Medicina e Chirurgia perdono un anno della loro vita per tirocinio post-laurea ed Esame di Stato. Ingenuamente ho intrapreso il tirocinio post-laurea pensando che fosse importantissimo e utilissimo per l’imminente inizio della professione medica, pensavo che servisse per mettere alla prova le mie capacità, come una “prova generale” e invece? Niente di diverso dai tirocini frequentati nel corso dei miei studi. Sono arrivata alla conclusione che il tirocinio post-laurea e l’Esame di Stato abbiano come unico obiettivo il pagamento di altre tasse, circa 500 Euro! Il periodo che va dalla laurea fino all’Esame di Stato per me personalmente è stato molto difficile. Fino alla laurea la mia strada era sicura, avevo un obiettivo da raggiungere, un percorso stabilito. Dopo? Il primo problema nasceva dalla scelta della scuola di specializzazione: chirurgia generale.
Come definiresti il percorso che hai affrontato per realizzare il tuo desiderio di specializzarti in chirurgia?
Ho deciso di fare il chirurgo la prima volta che sono entrata in sala operatoria, spiegare il perchè non è facile, diciamo che sono rimasta affascinata, totalmente rapita, elettrizzata, emozionata. Mi sono chiesta: “ne ho le capacità?“. Ma ho pensato che ce l’avrei messa tutta per riuscirci. Non è stata una scelta facile perché conoscevo le difficoltà che un giovane medico può incontrare nel diventare chirurgo, difficoltà che sono triplicate se si parla di una donna. E devo dire con una punta di amarezza che poche persone, le più sognatrici forse, mi hanno sostenuta. Tutti gli altri non hanno fatto altro che scoraggiarmi perché “non è un lavoro per donne, soprattutto se vogliono una famiglia” che invece sono adatte a specializzarsi in pediatria, ginecologia, dermatologia, aprire uno studio medico, fare qualche ora di ambulatorio e poi tornare a casa dalla famiglia, dai figli, “per amore o per forza”.
Tutte queste pressioni “culturali” hanno inciso sulla tua determinazione?
C’è stato un momento di debolezza in cui avevo rinunciato ripiegando su un’altra scuola di specializzazione, poi per fortuna ho deciso di seguire il cuore e i sogni, ho cominciato a frequentare nel reparto di chirurgia e mi sono laureata con una tesi sulla chirurgia senologica. Il problema del post- laurea? L’incertezza, l’assoluta mancanza di sicurezza sul futuro. C’è un esame per entrare in scuola di specializzazione, una parte teorica composta da un test con domande a risposta multipla e una parte “pratica” che consiste in una domanda su un caso clinico a cui si risponde per iscritto. In più ogni candidato ha un punteggio che deriva da voto di laurea, pubblicazioni, esami e corsi a scelta. Ovviamente ogni scuola dispone di un numero limitato di posti. Ad esaminare i candidati è una commissione composta dal direttore della scuola di specializzazione e dai professori e primari che ne fanno parte. Quindi diciamo che l’appartenenza all’ateneo sede dell’esame e l’aver frequentato per più tempo possibile un reparto è un fattore in più che va considerato. Nonostante il mio curriculum fosse più che buono non sapevo se avrei superato l’esame a Bologna e, cosa fondamentale e più importante, non avevo trovato un ambiente che mi soddisfacesse totalmente.
A quel punto quale strategia hai adottato per darti una chance?
Ho deciso di guardarmi attorno e dopo lunga ricerca, dopo notti insonni, ho deciso di iniziare a frequentare a Ferrara. Per quasi 5 mesi ho fatto la pendolare, mi alzavo alle 5.30 e tornavo a casa alle 20.00, ma lo rifarei senza nessun dubbio. A Ferrara ho trovato quello che cercavo. Sono stata subito accolta bene dal personale medico, da professori, strutturati, specializzandi e infermieri. Mi hanno subito coinvolta in tutte le attività, nonostante provenissi da un altro ateneo mi sono inserita senza problemi e per questo devo ringraziare soprattutto i miei colleghi specializzandi. Ho iniziato a pieno ritmo la vita del medico frequentatore che consiste sostanzialmente nell’imparare l’attività svolta come specializzando del primo anno: fare medicazioni, anamnesi ed esame obiettivo del paziente, impostare le lettere di dimissioni, gestire il paziente nel post-operatorio sempre sotto la supervisione dei “più grandi”. Significa anche fare fotocopie quando serve, rispondere al telefono, andare avanti e indietro da una parte all’altra dell’ospedale, metter a posto gli esami in cartella. Nessun compenso economico ovviamente ma per me poter imparare è stata la ricompensa più grande in quel periodo nonostante alla fine fossi stremata. Posso dire che per un giovane medico appena laureato il sentirsi guidato e messo a proprio agio, vedere riconosciuti i propri meriti, le proprie capacità, venire messo alla prova è fondamentale, per me lo è stato.
Quindi stai svolgendo gli anni di specializzazione a Ferrara ora, come ti trovi?
A giugno scorso ho partecipato al concorso per l’ingresso in specializzazione, chirurgia generale, e l’ho superato! Grandissima felicità! Dal 30 giugno 2012 sono una specializzanda della Clinica Chirurgica del Sant’Anna di Ferrara. Cosa significa questo? Il mio lavoro si svolge tra sala operatoria, reparto e ambulatorio. Gli specializzandi più grandi seguono anche il Day Hospital dove i pazienti vengono accolti e preparati per l’intervento chirurgico. I miei orari? Non ho orari nel senso che conosco solo l’ora di inizio delle mie attività 8.00 in punto, ma non l’ora di ritorno a casa. Indicativamente posso dire di lavorare in media 10 ore al giorno. Ho 2 fine settimana liberi al mese, gli altri 2 lavoro. Per ora noi specializzandi del primo anno copriamo solo le guardie giorno e si aggirano a circa 4-5 al mese. Le guardie festive in genere sono 2-3 al mese. Gli specializzandi più grandi invece coprono anche la guardia notte. Le nostre guardie vengono affiancate da un medico strutturato che è sempre presente. In più abbiamo anche delle reperibilità di 24 ore. E’ un lavoro faticoso e totalizzante ma per quanto mi riguarda è splendido. In questo mio primo anno ho quasi annullato la mia vita fuori dall’ospedale e avendo traslocato da Bologna che era la mia casa da 8 anni, a Ferrara, il luogo per me più familiare è l’ospedale!
Puoi spiegarci cosa significava l’idea di tassare le borse di studio e dei compensi degli specializzandi? Quali sarebbero le conseguenze?
Il medico specializzando è un medico in formazione specialistica e questo fa di noi degli studenti. Il nostro contratto, cito testuali parole, è “finalizzato esclusivamente all’apprendimento delle capacità professionali inerenti al titolo di specialista, mediante la frequenza programmata delle attività didattiche formali e lo svolgimento di attività assistenziali funzionali alla progressiva acquisizione delle competenze previste dall’ordinamento didattico della scuola in conformità alle indicazioni dell’Unione Europea… il contratto non determina l’instaurazione di alcun rapporto di lavoro”.
Dal 30 giugno 2011 ad oggi 17/04/2012 ho seguito solo 1 ora di lezione. Vorrei sottolineare che per la mia formazione pago circa 2000 Euro di tasse l’anno. Parliamo quindi di compenso economico. La mia borsa di studio prevede un compenso di circa 1850 Euro lordi al mese per 12 mensilità. Da questo ci vengono sottratte circa 110 Euro per l’INPS. Poi bisogna considerare la tassa annuale di circa 2000 Euro quindi arriviamo a circa 1600 Euro netti al mese. Inoltre ogni anno paghiamo l’iscrizione all’ordine dei medici, io ho pagato quest’anno € 140, e l’ENPAM (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri). La rata ENPAM varia in base all’età, io che ho 28 anni quest’anno pagherò circa 300 €, un mio collega che ha più di 30 anni quest’anno pagherà circa 700 €. Consideriamo quindi uno stipendio netto di circa medio di € 1500 al mese che considerate le nostre ore di lavoro significa un compenso di circa 5 € l’ora. Non importa quante ore facciamo, il compenso è sempre lo stesso, non c’è straordinario. Le guardie feriali e festive non sono pagate e tantomeno lo sono le reperibilità.
Insomma, il lavoro di cura diventa scontato, manipolato ed aziendalizzato allo stesso tempo.. Mi sembra che in Italia continui a mancare un dibattito pubblico, cioè: vengono prese decisioni nel quadro di un principio generale (la crisi) e di valori sommari, molte volte anche vecchi e stropicciati, poi ci si trova in piazza perché le conseguenze, non solo di ordine economico, sono chiare solo quando si applicano alle tasche della cittadinanza. Sul Resto del Carlino di Bologna di ieri si leggono le parole di Luca Vizioli, presidente dell’Associazione specializzandi di Bologna «Siamo responsabili di quello che facciamo ogni giorno e amiamo il nostro lavoro. Pur nel dispiacere dei disagi che verranno creati non possiamo permettere che le regole vengano cambiate così». Cosa ne pensi?
Il punto è che paghiamo una formazione scadente e non conforme alle indicazioni dell’Unione Europea e questo accade a Ferrara, a Bologna, a Roma e in tutta Italia. Ma nonostante tutto andiamo avanti cercando di apprendere il più possibile, e lavorando perché alla base di tutto c’è la passione per il nostro lavoro. E questo vale per me e per tutti i medici in formazione specialistica che mi circondano. Nessuno si risparmia, nessuno si tira indietro se c’è da lavorare 12, 13, 20 ore di fila. E tutto questo a nostro rischio e pericolo visto che la copertura assicurativa prevista dal nostro contratto ci copre per una piccola parte delle nostre attività. Quindi a conti fatti, lavoriamo come un dipendente del SSN se non di più, non abbiamo tredicesima e quattordicesima, lo straordinario non è pagato, così come le guardie e le reperibilità, non siamo coperti legalmente e ci assumiamo i rischi di un medico strutturato. In più il nostro governo ci vorrebbe premiare introducendo una tassazione IRPEF sulle borse di studio con reddito annuo superiore a € 11.500. Questo includerebbe quindi i contratti di ricerca di perfezionamento e di specializzazione. Per noi specializzandi questa tassazione significherebbe una riduzione dello stipendio di circa 200 € al mese. Gli specializzandi hanno un’età compresa tra i 26 e i 32 anni in media. Molti sono sposati e hanno figli. Moltissimi hanno comprato casa e hanno un mutuo da pagare. Il nostro governo ci vuole tassare al pari dei dipendenti pubblici ma senza nessun privilegio del dipendente pubblico.
Per te è stato giusto scioperare contro la manovra che era in atto?
Sono molto favorevole allo sciopero! Alcuni dicono che non serve a niente ma è l’unico modo che abbiamo per fare sentire la nostra voce. In più i policlinici universitari hanno una attività che si basa sul nostro lavoro, sulla nostra presenza, lo sciopero, perciò, crea veramente un disagio: una sollecitazione che induce a riflettere.
Nonostante lo stop alla norma alla Camera, ieri, a Roma, gli studenti non hanno rinunciato a scendere in piazza per occupare con i loro corpi lo spazio pubblico, un segno di presenza a cui hanno aggiunto il gesto di formare una delegazione che dialogasse in Parlamento. Non ci sarà nessuna tassazione Irpef sulle borse di studio universitarie, ormai è certo, avete vinto: la commissione finanza della camera, infatti, ha approvato ieri all’unanimità il controemendamento al decreto fiscale che abroga l’ introduzione della tassazione. Quindi finisce qui il dialogo con la Società e con il Governo?
Abbiamo vinto una battaglia, fortunatamente non saremo penalizzati economicamente ma ci sono molti altri problemi da risolvere. Credo che questa sia stata una occasione, un pretesto per fare venire fuori tutti i limiti legati alla nostra condizione di medici specializzandi. Siamo dei privilegiati in questo momento di crisi economica: pochi ragazzi di 28 anni possono vantare uno stipendio di circa 1500 €, ma quanti di loro hanno le nostre responsabilità?