23 settembre 1985: erano le 20:50 di un Lunedì sera, un giorno nero per l’intera nazione, scossa dal brutale assassinio di un giovane cronista napoletano, Giancarlo Siani, un uomo che sacrificò la sua vita per raggiungere la verità.
Giancarlo Siani nasce a Napoli, nel quartiere collinare del Vomero. Appena dopo la laurea collabora in molti quotidiani locali. Diviene grazie alla sua tenacia, corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino di Napoli, dove si occupò principalmente di cronaca nera, legata ovviamente alle azioni criminali dei clan locali. Scrive inoltre per l’”Osservatorio sulla camorra”, periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti, mentre continua a scrivere per il Mattino alla redazione di Castellamare di Stabia.
A ventisette anni dalla sua scomparsa numerose le iniziative nel giorno del ricordo di Gianacarlo Siani, il giornalista assassinato dalla camorra per aver messo il naso negli intrecci dei clan napoletani: Lunedì 24 settembre alle ore 12, presso la Sala Riunioni del Mattino, alla presenza di Autorità, rappresentanti della Magistratura, dell’Avvocatura, delle Forze dell’Ordine e del mondo della scuola, si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Siani IX edizione. Ieri Domenica 23 Settembre alle ore 10.30, presso le rampe intitolate alla sua memoria al Vomero (tra via Conte della Cerra e via Suarez) si è tenuta la tradizionale deposizione di fiori, a cura del Comune di Napoli e della Municipalità 5 Arenella – Vomero.
Il Giancarlo Siani Reportage Prize, conclusosi nel giorno del suo compleanno, il 19 Settembre, giorno inoltre scelto a conclusione della settimana a lui intitolata culminata con una festa organizzata dagli studenti contro la camorra a Napoli di fronte alla sede del Mattino; il concorso Mehari che ha visto fra le tante proposte quella di trasformare in monumento l’auto del giornalista, in quanto simbolo eterno della lotta per la legalità.
Giancarlo Siani: i motivi dell’assassinio
Il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, ed il clan Bardellino, intendevano “vendere” alla polizia il boss Valentino Gionta, ormai troppo pericoloso in quanto scomodo per porre fine al processo di pacificazione tra famiglie in guerra da anni, una guerra costata un qualcosa come 5000 e forse più vittime a partire dalle prime faide interne e spodestarlo in modo tale da rinsaldare nuove alleanze criminali.
Queste le rivelazioni sensazionali scoperte da Siani, anche grazie ad un amico carabiniere. Furono pubblicate il 10 giugno 1985,data che, in un certo senso, segnò per sempre il suo destino. Le affermazione contenute in quell’articolo indussero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista. Secondo Giancarlo Siani l’arresto del boss Valentino Gionta, arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano(napoli), fu reso possibile da una “soffiata” dei Nuvoletta ai carabinieri.In seguito, alcuni collaboratori di giustizia, rivelarono che l’arresto di Gionta fu il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino al fine di stipulare una pace definitiva fra i clan in rivolta.
Come è morto Giancarlo Siani e perchè
Dunque Giancarlo Siani mori’ proprio dopo la pubblicazione dell’articolo che fece apparire agli occhi dei boss partenopei il clan Nuvoletta come delle spie macchiati per sempre d’infamia per il fatto di relazionarsi con la Polizia. Stava inoltre per pubblicare un libro che trattava dei rapporti tra politica e camorra, delle relazioni dunque fra lo stato e la camorra per la ricostruzione post-terremoto.
Una storia che si ripete da anni. Nel giorno della commemorazione si intende rendere omaggio al giornalista martire per la verità ad un vero cronista, libero che non ebbe timore di rendere pubbliche notizie che ancora oggi purtroppo riverberano nei telegiornali. Ed è per questo che di seguito è riportato l’articolo che gli valse la condanna a morte. Leggere e riflettere sulle crude parole per mantenerne vivo il ricordo, per non vanificare il sacrificio di un giovane cronista che ricercava solo e nient’altro che la verità:
Articolo pubblicato da “Il Mattino” del 10 giugno 1985 redatto da Giancarlo Siani.
Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta. Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni. I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare».
La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo. L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico.
Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi. Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga.
È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage. Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.
Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino. Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan. Torre Annunziata diventa una zona che scotta. Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati. Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia». Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage.