Dall’indagine sono emerse notevoli differenze tra un’area e l’altra. In genere le grandi città tutelano di più il paziente, ma non è facile che forniscano screening integrali e inoltre da non sottovalutare sono i lunghissimi tempi di attesa previsti stabiliti dai Cup.
A Roma. Una coppia che è in dolce attesa, probabilmente è questo uno dei momenti più belli della loro vita, deve fare il triste incontro/scontro con la realtà sanitaria. Uno dei problemi principali è la possibilità di inserirsi nelle prestazioni diagnostiche che sono necessarie e che dovrebbero essere, tra l’altro, gratuite per la futura mamma. L’aspetto positivo dei grandi organismi ospedalieri è la possibilità di avere una maggiore libertà su come compiere il parto e sui servizi messi a disposizione. Sono loro a decidere su molti aspetti e per questo, spesso, vengono scelti i grandi ospedali non solo perché più rinomati ma anche per la possibilità di poter scegliere.
Da “Percorso nascita, indagine civica sulle prestazioni sanitarie. Focus sugli screening neonatali” mostrata a Roma dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, con il supporto di Genzyme, ed effettuata su cinquantuno organismi della penisola: 31 strutture ospedaliere, 12 asl, 5 policlinici dell’università, 2 compagini convenzionate, 1 organizzazione di ricovero e cura di tipo scientifico. Esse risultano essere differenti, ovviamente, per la quantità di parti annuali, le cifre variano dai meno dei 500 all’anno a quelle di oltre 2500. Tale variazione, ovviamente, dipende dalla possibilità di capienza della struttura ospedaliera.
L’indagine e ricerca sulle difficoltà di affrontare un parto: dall’ospedale alla nascita
L’indagine si è concentrata, soprattutto, sul modo in cui il cittadino riesce ad usufruire dei servizi offerti dalle strutture ospedaliere e sulla continuità dei servizi stessi nel corso del tempo . La ricerca cerca di capire se il complesso ospedaliero è, o meno, integrato col sostrato cittadino, su come viene tratta una donna in attesa, quali sono le condizioni per lei e per il nascituro; bisogna comprendere se i cittadini che fanno uso di tali enti sono o meno soddisfatti. L’indagine nasce, infatti, anche dalla consapevolezza di molte lamentele per cui la domanda principale sorge dal voler ricercare le motivazioni, dal voler capire quali sono le mancanze e dove quindi bisognerebbe muoversi per poterle migliorare.
Le prime difficoltà dove nascono? Un primo aspetto fin da subito esaminato dalla ricerca di Cittadinanzattiva è relativo ai presunti tempi di attesa, stabiliti dai Cup, per poter avere accesso alle attività che la struttura sanitaria italiana offre gratuitamente alle donne dolce attesa. Si tratta del primo accertamento dal ginecologo, visite di controllo, ecografia ostetrica che deve essere effettuata entro un tempo prestabilito in genere non oltre la tredicesima settimana e l’ecografia morfologica prevista tra la diciannovesima e la ventesima settimana. Il dato più preoccupante è che i tempi di attesa anche per la prima visita ginecologica possono variare anche di molto dai 10, 15 giorni fino ai 90 o, addirittura, 265 giorni, un tempo troppo lungo. Usufruire, però, dell’ospedale della tua stessa città può portare a delle agevolazioni in termini di tempo, si aspetta molto meno, invece, decidere di fare affidamento ad un’altra struttura sanitaria che non appartiene alla propria area può comportare tempi di attesa superiori e non possibili per una donna in maternità.
Le difficoltà di affrontare un parto e di decidere il proprio medico
Poter scegliere un ginecologo o un’ostetrica nel campo pubblico è un’impresa ardua se non impossibile. L’unica possibilità è quella di rivolgersi a dei privati e anche qui le cifre variano di molto: dai 70 ai 150 fino ai 200 euro. È possibile che dallo stesso professionista la visita poi possa variare di prezzo, ovviamente, a seconda delle esigenze, però, il dato preoccupante è che la coppia in attesa di un figlio non possa ricorrere ad un medico che svolga attività anche nel settore pubblico. In questo caso le cifre diminuirebbero dovendo, eventualmente, pagare solo il ticket, diventando più accessibili.
Modalità di parto. In Italia il parto più frequente è il cesareo, infatti, il paese figura al ventesimo posto nella comunità europea per tale modalità di parto. L’uso del taglio cesareo è preferito al Sud e in particolare in: Liguria, Abruzzo, Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Diversa la situazione al Nord dove solo la Liguria mostra percentuali elevate. In genere sono le donne con cittadinanza italiana a richiedere il parto cesareo mentre le straniere sembrano preferire il parto naturale, infatti, solo il 28,6% decide di partorire con l’uso del taglio cesareo. Sono le strutture private e non gli ospedali pubblici ad effettuare di più questi parti: il 58,3% dei privati contro il 35% dei pubblici. In Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana si tende al parto naturale e in Sicilia, Puglia e Calabria l’uso del taglio cesareo tende a diminuire.
Le difficoltà di affrontare un parto ed il parto in analgesia epidurale
A volerlo sono, soprattutto, le donne che soffrono d’ansia e che sanno che non riusciranno ad affrontare il dolore e quindi a vivere serenamente il momento più bello della loro vita. Si decide perciò di usufruire di tale tecnica che consente comunque un parto naturale e spontaneo. L’aspetto positivo è che controlla efficacemente il dolore mentre la donna sta partorendo. Ha incontrato così grande fortuna all’estero ma è un procedimento poco conosciuto in Italia sono, infatti, pochi gli enti ospedalieri che eseguono tale tecnica. Tale carenza o mancanza è dovuta a molteplici fattori: motivi culturali, scarsa informazione, esiguità del numero de gli organismi dove viene esercitata. Le regioni che possono offrire tale servizio sono: Valle d’Aosta, il Friuli Venezia Giulia, il Trentino e la Toscana. Manca totalmente in Molise e in Sicilia. La Calabria, la Campania e l’Abruzzo si stanno avvicinando alle nuove tecniche di parto.
Fase immediatamente successiva al parto. Dei reparti analizzati quasi tutti, circa l’84 per cento, possiede la roaming-in. Essa permette di tenere il neonato nella stessa stanza della madre. Pochi però i centri ospedalieri, solo i più grandi, che seguono gli eventi post parto e danno informazioni esaurienti sui primi passi da compiere. Si è notato, però, un aspetto positivo che anche i piccoli ospedali sono dotati di romming-in col totale del ben 100% dei casi visionati.
Le difficoltà di affrontare un parto e i vari esami. Il 64% degli ospedali non effettua il test del riflesso rosso, un test fondamentale per l’identificazione precoce di alcune malattie soprattutto riguardanti la vista come la cataratta, il glaucoma e il retinoblastoma. Nemmeno le grandi e le medie strutture si dimostrano sensibili al problema, per non parlare delle piccole entità. Diverso discorso è per lo screening audiologico operato in tutta la penisola dai principali ospedali ma anche dai più piccoli per circa il 60 per cento. Per quanto riguarda i test metabolici neonatali, il 96 per cento degli enti, sempre analizzati, realizza gli screening previsti dalla legge: fenilchetonuria, fibrosi cistica e ipotiroidismo congenito. Ciò che, invece, non è previsto per legge e che quindi varia da regione a regione è lo screening metabolico allargato, capace di riconoscere più di 60 malattie rare. È la regione a decidere quali misure adottare in merito e di conseguenza la situazione varia: la Toscana, la Liguria, l’Umbria, la Sardegna e l’ente territoriale autonomo di Trento presentano tali screening regionali. Roma e più in generale il Lazio pur possedendo il programma non presenta e non garantisce una totale protezione su tutto il territorio. Tra gli enti ospedalieri analizzati in Lombardia e in Sicilia si effettua lo screening allargato in sole poche zone: Milano, Pavia, Catania e Palermo; negli altri centri che sono stati oggetto di studio dall’indagine è emerso che l’ Abruzzo, la Campania, la Calabria e la Puglia non offrono tale servizio.
In sintesi ecco quali sono le difficoltà di affrontare un parto. I grandi centri offrono più servizi ma con tempi più lunghi se non si appartiene all’area di appartenenza. Quasi tutte le strutture non presentano dei test che dovrebbero essere obbligatori perché indispensabili e da effettuare sul nascituro come lo screening metabolico allargato. Uno dei problemi principali è anche adottare nuove tecniche di parto meno dolorose ma comunque naturali come analgesia epidurale, presente ancora in pochissime strutture.