In tale decreto sono contenute diverse disposizioni normative relative al mondo del giornalismo. Disposizioni che, tuttavia, pur non scalfendo in alcun modo la struttura dell’Ordine, risultano foriere di grandi novità. Novità normative che, ad ogni modo, a causa delle dimissioni rassegnate dal Primo Ministro Monti e di una serie di slittamenti burocratici, non sono più state messe in atto.
Se fosse entrata in vigore, la Riforma del giornalismo avrebbe apportato delle modifiche sostanziali alla vecchia disciplina normativa di settore, la legge del ’63. La riforma del giornalismo progettata ed invocata dai tecnici montiani, in particolare, avrebbe mutato le modalità inerenti al conseguimento del tesserino da pubblicista, inserendo l’obbligo di un esame di stato. Le altre novità inerenti al giornalismo, invece, riguardano gli albi pubblici, la formazione, il praticantato, l’assicurazione obbligatoria e la tutela deontologica.
Le recenti vicende politiche, poi, hanno rallentato e bloccato questo processo di riforma, lasciando del tutto immutata la legge Gonella. La legge Gonella n. 69 del 1963, istitutiva dell’Ordine, suddivide l’Albo dei giornalisti in due elenchi: l’uno dedicato ai professionisti, l’altro ai pubblicisti.
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Desiderosi di comprendere al meglio la questione inerente alla riforma dell’Ordine dei Giornalisti abbiamo deciso d’intervistare il Dott. Ennio Bartolotta, Direttore dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti.
Dott. Bartolotta, potrebbe renderci edotti sull’attuale disciplina di settore relativa al giornalismo?
“La legge istitutiva dell’Ordine è del 1963 e sino all’anno scorso, con le novità di cui abbiamo detto, è rimasta sostanzialmente immutata nella sua struttura originaria. Il legislatore, in particolare, non ha ritenuto necessario che vi dovesse essere un percorso universitario specifico per diventare giornalisti, risentendo in questo atteggiamento di alcuni stereotipi che volevano che il giornalismo non si dovesse imparare con lo studio ma che lo si dovesse apprendere nella pratica. Tuttora il giornalismo è una delle poche professioni, dove il praticantato professionale (con regolare contratto di lavoro) viene svolto prima dell’esame di Stato ed anzi ne è condizione d’accesso. Questo anacronismo, che affonda le sue radici in una visione eroica della professione con il giornalista che spende magari le sua vita fuori dalla redazione alla ricerca della notizia, abbiamo visto che non ha più ragion d’essere. Tutto ciò senza contare che il legislatore del 1963 viveva in una società dove l’informazione era costruita sulla carta stampata e dove, oltre ai canali radio nazionali, vi era solo un canale televisivo. In mancanza di un intervento riformatore sull’accesso, l’Ordine ha dovuto, quindi, sviluppare nel tempo una serie di interventi d’interpretazione integrativa della legislazione per adeguarla alle mutate condizioni lavorative e professionali prevedendo, ad esempio, la figura dei free lance ed il riconoscimento dei praticantati d’ufficio”.
Qual è la Sua opinione in merito alla riforma del giornalismo?
“Se per riforma del giornalismo intendiamo il processo che ha portato nel 2012 con il DPR 137/2012 ad una revisione di alcuni criteri organizzativi degli ordinamenti professionali ed all’introduzione di alcuni principi di liberalizzazione nell’ambito delle professioni regolamentate, il giudizio è di imbarazzo, in quanto le tematiche “riformatrici” derivanti dai provvedimenti salvaitalia e crescitalia (a partire dal DL 138/2011) sono tangenziali rispetto al giornalismo che si sviluppa in un ambiente estraneo al rapporto con il cliente utilizzatore della prestazione diretta quale invece si instaura con il proprio avvocato o commercialista. Il giornalista non ha clienti in senso tecnico ma lettori o destinatari di servizi audiovisivi. Per il giornalista, di conseguenza, l’obbligo di comunicare anticipatamente un preventivo, piuttosto che la possibilità di far pubblicità comparativa dei propri “servizi” ha poco senso. Non solo, ma alcuni obblighi, quali quello dell’assicurazione per i danni verso i clienti derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, hanno determinato difficoltà interpretative che si sono potute dipanare con l’acquisizione di pareri pro veritate che ne hanno escluso l’applicabilità, nel caso dei giornalisti, nei rapporti verso gli editori committenti.
E’ tuttavia, doveroso sottolineare che la distinzione operata dal legislatore tra le competenze amministrative e quelle disciplinari dei Consigli degli Ordini, al di là della possibile farraginosità delle procedure di designazione, risponde ad un condivisibile principio di trasparenza e di imparzialità che contribuisce a rinnovare la fiducia nello strumento ordinistico quale insostituibile presidio della correttezza professionale degli iscritti. Anche l’obbligatorietà della formazione professionale continua e permanente degli iscritti, che per la prima volta viene introdotta per i giornalisti, è un elemento di novità apprezzabile che va nella direzione di una professione sempre più preparata a raccogliere le sfide dei cambiamenti e dell’evoluzione del mondo dell’informazione. Ciò detto, rimane il rammarico per un processo riformatore rimasto ai margini della professione giornalistica e che, invece, qualora si fossero adottati strumenti legislativi idonei, quali ad esempio quello della legge delega per singoli ambiti professionali, avrebbe potuto realizzare il grande mutamento invocato da decenni consistente nella riforma dell’accesso (in particolare con il requisito della laurea) o nel riordino della rappresentanza del Consiglio nazionale”.
Qual è la Sua opinione in merito alla tematica dei finanziamenti all’editoria? Che ne pensa l’Odg in merito?
“L’art. 21 della Costituzione, nel sancire la libertà di espressione del pensiero, ha stabilito che la stampa non possa essere soggetta a autorizzazioni o censure, con ciò evidenziando il diritto dei cittadini a ricevere una informazione libera ed indipendente. Non a caso l’art. 21 è rubricato nel titolo I rapporti civili, parte I diritti e doveri dei cittadini. Ma ci può essere libertà di informazione se con il potere economico si riesce a soverchiare le voci altrui? Curiosamente questo problema se lo era posto la Corte Costituzionale nel 1968 quando venne chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dell’esistenza dell’Ordine dei giornalisti. La Consulta, nell’occasione, ne affermò la piena legittimità anche in base alla considerazione che l’Ordine, chiamato a controllare e vigilare sulla preparazione e correttezza dei giornalisti ad esso iscritti, è garanzia di tutela nei confronti del potere economico dei datori di lavoro, per far sì che il cittadino riceva un’informazione corretta ed ispirata a criteri di obiettività. Le medesime considerazioni sono da ritenersi valide anche in relazione alla legittima sussistenza di un sistema di finanziamento volto a garantire la pluralità dell’informazione. Ma la ragione d’essere di un tale sistema non può non avere un contrappeso nelle responsabilità che devono assumersi i beneficiari dello stesso. Per questo motivo l’Ordine nella passata legislatura si è fatto promotore della legge n. 233 del 31.12. 2013 che ha regolamentato l’equo compenso nel settore giornalistico prevedendo che ai titolari di rapporto di lavoro non subordinato (cioè i soggetti non tutelati dalla contrattazione collettiva) debba essere corrisposta una remunerazione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione da parte delle imprese editoriali pena la decadenza delle stesse dal “contributo pubblico in favore dell’editoria, nonché da eventuali altri benefici pubblici”. Ciò per porre freno allo scandalo denunciato dall’Ordine di articoli o prestazioni remunerate, si fa per dire, con pochi euro o addirittura in ragione di centesimi. In tal modo si è reso onore alla pluralità dell’informazione che non potrà più fare da schermo a pratiche di soggezione economica verso soggetti contrattualmente deboli o addirittura lesive della dignità di professionisti che credono nel loro servizio e che vogliono continuare ad assolverlo nell’interesse dei cittadini”.
L’opinione espressa dal Direttore Bartolotta ha il pregio di far luce sulla questione inerente alla riforma del giornalismo ed, al contempo, di rimarcare l’importanza simbolica della libertà di pensiero. Una libertà sancita nell’articolo 21 della Costituzione italiana.