di Federconsumatori Campania.
Dott. Stornaiuolo. Si parla molto in questo periodo di esodati. Un fenomeno che potrebbe in futuro colpire anche la nuova generazione lavoratrice. Destinata come quella attuale a rimanere senza lavoro e senza pensione. Perché?
“Esodati sono quei lavoratori che, prossimi alla pensione, hanno deciso di lasciare il lavoro dietro corresponsione da parte della propria azienda di una buonuscita-ponte, firmando il licenziamento o accettando di essere messi in mobilità.
Lo spostamento in avanti dell’età pensionabile doveva teoricamente dare respiro alle casse dello Stato, ma ha prodotto in realtà l’effetto opposto. L’Inps ha difficoltà a pagare tutti ed i tempi di attesa per verificare la validità delle richieste di idoneità sono eccessivamente lunghi. Questo significa che questi lavoratori, in attesa di conoscere se sono idonei o no, si ritrovano oggi in una situazione in cui non sono né carne né pesce. Non percepiscono alcun tipo di salario ed hanno gravi problemi ad arrivare alla pensione. In pratica non hanno né lavoro né pensione. In più i tassi di disoccupazione e precariato crescenti ci dicono che la situazione è destinata a cronicizzarsi per cui essa si estenderà quasi certamente anche ai giovani lavoratori che andranno in pensione un domani“.
Molti esperti indicano nella staffetta generazionale la strada più efficace per uscire dal precariato e dalla disoccupazione. Favorire cioè l’uscita dei “vecchi” lavoratori dal mercato per inserire i nuovi. Qual è la sua opinione in merito?
“Innanzitutto non sono sicuro che la staffetta generazionale sia equa da un punto di vista etico. Ad esempio se ho mio padre che lavora in banca e lui sceglie di anticipare la pensione, allora io posso prendere il suo posto. Indipendentemente dal merito, dal fatto che sia laureato o meno, che abbia partecipato ai concorsi pubblici o no, io posso andare a fare l’impiegato al posto di mio padre. Il fatto che il padre lasci e venga sostituito dal figlio in molte aziende era già una prassi consolidata prima che questa diventasse legge. Il padre si sacrificava, andava prima in pensione o in cassa integrazione e faceva assume suo figlio.Bisogna valutare questa proposta, capire cosa significa, quale percentuale sulla pensione perde il padre e che pensione toccherà al figlio. Nei fatti però abbiamo un’ereditarietà del posto fisso che taglia fuori chi non ha santi in paradiso”.
I giovani lavoratori di oggi, dicono le previsioni, rischiano di percepire in futuro una pensione “da fame”. Come si spiega questo allarme?
“L’idea che la vita si è allungata ha convinto la classe politica italiana a spostare in avanti la soglia pensionabile ma siccome i giovani trovano lavoro più tardi diventa più difficile per loro maturare i requisiti necessari per accedere ad una pensione sufficientemente dignitosa. Motivo per cui si prevede che i giovani lavoratori di oggi andranno in pensione molto più tardi, perché avranno bisogno di più tempo per maturare questi requisiti. A questo si aggiunga la difficoltà dei lavoratori più anziani che temendo una pensione povera, decidono di continuare a lavorare anch’essi oltre la soglia pensionabile dei 67 anni. Viene da sé quindi che è sempre più difficile per il giovane inserirsi nel mondo del lavoro perché se non escono gli anziani, non possono entrare i giovani.”
Come si colloca il nostro paese rispetto al resto di Europa riguardo le questioni del lavoro e delle pensioni? Cosa non va nel nostro paese?
“A mio avviso è incredibile che uno Stato obblighi il cittadino ad andare in pensione a 66-67 anni. Ci sono alcune categorie, penso agli ospedalieri, alle guardie giurate, a quelli che fanno i turni di notte che ormai sono tutte professioni in mano a lavoratori anziani che scelgono di non andare in pensione. Pensa che l’età media dei netturbini a Napoli è di 57 anni. Il Comune non può assumere lavoratori giovani perché i vecchi non lasciano il posto, proprio perché se lo facessero percepirebbero una pensione ridicola. Nel nostro paese la porta per i giovani è come sprangata. Le soglie pensionistiche andrebbero riviste completamente. In Francia ad esempio Hollande sta cercando di riportare a 60 anni la possibilità di andare in pensione. Qui in Italia invece con le ultime riforme del lavoro siamo tornati al paleolitico dell’occupazione.”
A suo parere la Riforma Fornero ha fallito gli obiettivi? Come si convincono le aziende ad assumere a tempo indeterminato?
“Il nuovo governo sta discutendo una serie di modifiche ma la verità è che se tu oggi hai 62 anni e 40 anni di contributi alle spalle sei costretto andare avanti. Anni fa con 36 anni di contributi andavi in pensione, ma adesso siamo arrivati al punto che nemmeno 42-43 anni di contributi versati bastano per ritirarsi dal lavoro. Oggi l’unica cosa che un lavoratore prossimo alla pensione può fare è andare in pensione a 62 anni, perdendo una percentuale sulla pensione per favorire la staffetta coi più giovani. La Riforma Fornero, per quanto mi riguarda, ha fallito su tutta la linea perché con questa riforma i giovani non vanno mai in pensione. Il primo passo dovrà essere superare l’handicap della Riforma Fornero, altrimenti voi giovani non andrete mai in pensione o ci andrete con una pensione talmente minima che dovrete continuare a lavorare fino ad 80 anni. Adesso sembra che il governo Letta stia puntando ad una linea di flessibilità ancora più accentuata, ma bisogna intervenire soprattutto sul versante dei finanziamenti alle aziende. Attualmente alle aziende costa troppo assumere una persona a tempo stabile . Se io azienda posso assumere una persona con contratto a termine e pagare di meno rispetto a chi assume a tempo indeterminato o giovani, è chiaro che assumerò sempre a tempo determinato. Questo significa che raggiunta la scadenza del contratto io posso liberarmi del lavoratore e sostituirlo con un altro. Quando assumi a tempo indeterminato sei legato a condizioni sindacali particolari che impongono costi decisamente più alti.
I giovani si sentono i più penalizzati dal nostro sistema previdenziale. Arriveranno alle pensione più tardi e percepiranno assegni più bassi. Come si può evitare questa previsione?
“Le agevolazioni alle aziende innanzitutto. Chi assume giovani alla prima occupazione deve poter pagare per alcuni anni meno tasse e meno contributi, a patto che assuma lavoratori a tempo indeterminato. Bisogna incentivare un grande piano per l’occupazione giovanile, il che significa dare incentivi alle aziende che assumono giovani con contratto a tempo indeterminato. I giovani italiani hanno tante idee, perché farli scappare all’estero e mettere a frutto altrove la loro capacità e progettualità e nel nostro paese no? Bisogna incentivare l’imprenditoria giovanile e fare in modo che questa professionalità rimanga sul nostro territorio sviluppando ricchezza ed opportunità lavorative per altri ragazzi. Questa per me è la priorità delle priorità. Occorre sbloccare il mercato, anche con incentivi a fondo perduto”
Si dice spesso che l’Italia non è un paese per giovani. Come si potrebbe finanziare questo piano nazionale di rilancio del lavoro? Quale potrebbe essere il primo passo?
“Per i giovani questo è il paese peggiore. Questo è un paese per vecchi. Il massimo che l’Italia è stata in grado di offrire ai nostri ragazzi è un limbo di incertezze e soluzioni di emergenza che hanno solo peggiorato le cose. È difficile dire qualcosa ai giovani in questo momento. Ci sono associazioni di giovani imprenditori che cercano di rimanere qua, di insistere con la forza delle idee e di non demordere. Però come fai a dire ad un giovane resta in Italia, metti su una società, se poi vai in banca e non ti danno i soldi o hai una busta paga non fissa che non ti dà accesso ai mutui? Il primo passo da compiere a mio giudizio è una battaglia serrata all’evasione fiscale. Tutto quello che si recupera potrebbe andare a finanziare un piano nazionale per l’occupazione dei giovani. Se chi è al governo è disponibile a raccogliere questo guanto di sfida, ne sarei felicissimo.”
In molti spesso rimproverano i giovani d’oggi di essere causa del loro male, cioè di non sapersi impegnare abbastanza nella ricerca del lavoro. Ad esempio li si rimprovera di essere poco “flessibili” rispetto a certi tipi di mestiere, di non volersi impegnare, di essere choosy e viziati, di farsi mantenere da mamma e papà oltre il necessario. Si tratta di critiche giuste?
“La generazione dei padri dice cosi perché non ha vissuto le difficoltà che i nostri ragazzi sono costretti a vivere oggi. Io l’arrotino non lo avrei mai fatto. Non capisco francamente questo atteggiamento inutilmente critico verso i giovani. Ci sono certamente tanti mestieri che andrebbero recuperati: artigianato, lavori manuali ecc. Sicuramente alcuni mestieri possono rappresentare un’opportunità di collocamento importante: penso alle nuove figure del terziario, del turismo soprattutto, dell’artigianato locale, ma la rinascita dell’occupazione, soprattutto quella giovanile, deve essere una rinascita generale, che coinvolge tutto il mercato del lavoro. Il ragazzo deve fare quello che si sente di fare, diventare quello che vuole. I nostri giovani accettano di tutto. Fanno di tutto pur di lavorare. Non credo avrebbero obiezioni rispetto a questi mestieri. Dobbiamo ripensare il nostro sistema occupazionale, renderlo più giovane ed elastico. Perché la vita va vissuta, non ci si può distruggere di lavoro senza sapere quando godremo i frutti delle nostre fatiche. La vita si allunga vero, ma bisogna pensare anche a come migliorarne la qualità. Costringere la gente a lavorare anche da vecchia non è sicuramente da paese civile.”
Ultimamente si sente parlare sempre più spesso di psicopatologie connesse alla ricerca spasmodica di un lavoro che non arriva mai. La disoccupazione può diventare una malattia?
“Certamente. Pensiamo alle patologie da stress connesse alla disoccupazione: depressione, sfiducia nella vita e in se stessi, droga, uso di sostanze eccitanti, alcolismo, in alcuni casi addirittura il suicidio ecc. Cito a titolo di esempio una previsione sociologico-medica dei primi mesi del 2013: secondo questa previsione nel 2030 ci saranno in Italia 200mila malati di psicopatologie legate alla disoccupazione e al precariato. Persone a limiti della povertà, che non potranno pagarsi le cure mediche del caso. E molti di queste saranno giovani e giovanissimi. Già adesso se ci guardiamo intorno la gente non si cura più perché non ha soldi. Ci sono 2 milioni di italiani che non fanno le analisi ad esempio. Quindi lasciare aperta la questione della disoccupazione e delle pensioni diventa giocoforza un costo ulteriore per lo stato, oltre che una vergogna per la nostra democrazia. Qui in Italia sono venuti a mancare due principi costituzionali, entrambi vitali ed imprescindibili: lavoro e sanità. Gli effetti dell’uno si riflettono sull’altro e viceversa. Le malattie da disoccupazione sono un fenomeno del tutto nuovo, che fotografa perfettamente la situazione di logoramento e smarrimento che accomuna tanti disoccupati e precari Italiani.”