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Shopping compulsivo: sindrome e dipendenza da acquisto, parla Paola ex shopper patologica

R. C.
23/11/2024

Una delle nuove manie che prende piede nella società dell'immagine, è quella dello shopping compulsivo, come ci testimonia la pletora di nuove psicopatologie che dagli anni 90 ad oggi si sono progressivamente imposte all’attenzione degli specialisti Shopping compulsivo o buyng (il 5% dei giovani italiani soffre di un’eccessiva propensione all’acquisto, il 75% sono donne).

Lo shopping compulsivo o dipendenza dagli acquisti è un disturbo caratterizzato dall’impulso irrefrenabile ed immediato di “dover acquistare”. L’ansia dell’acquisto dello shopping compulsivo, cioè, è alleviata attraverso l’atto di “comprare”, spesso a dispetto di condizioni finanziarie, relazionali, lavorative e psicologiche già ampiamente precarie. Si tratta di una dipendenza da comportamento, quindi, che induce i soggetti che ne soffrono ad acquistare per ridurre ansia e disagio.

Un’autodifesa contro le proprie paure, ma che presenta un inconveniente fondamentale: la consumopatia non reca al malato alcuna gratificazione duratura e definitiva. Dietro lo shopping compulsivo e questa compulsione (femminile per lo più, ma che si sta allargando sensibilmente anche ai maschi) il complesso tipico dei ragazzi della società del brand di apparire poco attraenti ed interessanti.

Cos’è lo shopping compulsivo: Gli shopper compulsivi dichiarano solitamente di essere divorati dall’urgenza di comprare, un’ossessione contraddittoria, nella quale ad effetti egosintonici (sollievo e piacere) si alternano rapidamente effetti profondamente egodistonici (stress, vergogna, stati di colpa ed autolesionismo).

Shopping compulsivo: cos’è e come avviene, esperienza di Paola Izzo

Per saperne di più sullo shopping compulsivo, allora, abbiamo deciso di intervistare Paola Izzo (28), ex studentessa oggi consulente matrimoniale, un’ex shopper patologica, che ha voluto condividere con noi la sua esperienza, decisa, soprattutto, a smontare il pregiudizio dei tanti che ancora oggi considerano questa dipendenza un’invenzione degli specialisti, un “disagio apparente”, fasullo, da non prendere troppo sul serio. Magari scherzandoci sopra.

Cosa significa essere uno shopper compulsivo? Com’è la sua vita e quali sono i suoi bisogni e le sue ansie? E soprattutto, come si esce dal tunnel? Quali consigli ti senti di dare? 

Comprare è solitamente per una donna, un momento di relax, un’attività piacevole e gratificante. Non nel mio caso”. 

“Mi è sempre piaciuto acquistare scarpe, vestiti, borse, bigiotteria, qualche volta gioielli, come capita a tutte le ragazze e alle donne in generale. Come mi è sempre piaciuto tenermi aggiornata, al passo con le tendenze. Lo sento come un stimolo costante a sentirmi viva, piacente, apposto con me stessa e, perché no, con il mondo intorno. Giravo e giro per i negozi di mezza città (Salerno), spesso per ore, sempre a caccia di qualcosa di nuovo, moderno che mi rapisse, che mi facesse dire “questo mi serve”.  

La pericolosità dello shopping compulsivo: cosa succede nel soggetto

A questo aggiungete che la mia non è certo la famiglia Paperone. Mio papà è cassintegrato, mia mamma fa la colf ad ore. Io allora arrotondava facendo al babysitter.

Riuscivo però a gestirmi con un certo equilibrio. Ad un certo punto è come se qualcosa si fosse rotta, come se il freno si fosse spezzata in discesa. Compravo fiumi di cose, una marea. Avevo gli armadi pieni di roba inutile ed inutilizzata.

Vestiti che non mettevo, a volte nuovi. Infilavo paia di scarpe ovunque, persino dentro la scrivania. Avevo cellulari disseminati per casa, abbandonati nei posti più impensabili. C’era una confusione in casa imbarazzante, sembrava un centro commerciale.Non buttavo nulla, mai, neppure quando mia mamma minacciò prima di regalare tutto in beneficenza e poi di bruciare quella piramide di sprechi. 

Quasi subito mi sono accorta che lo shopping per me era diventata una dipendenza incontrollabile: c’era sempre qualcosa da comprare, da cambiare, che mi serviva, che devo regalare etc… e non solo vestiti, scarpe, accessori in generale, compravo tutto ciò che una ragazza può ritenere acquistabile. Spendevo, spendevo, spendevo, e non potevo farne a meno…Neppure la mancanza di soldi riusciva a fermarmi. Avevo un’ansia, una preoccupazione addosso allucinanti. Mi sembrava di non avere niente, niente di quello che mi serviva per essere felice.

Vedevo qualcosa che non avevo? Dovevo averlo a tutti i costi. Ma i soldi che guadagnavano e mi davano non erano mai abbastanza. Ripeto non vengo da una famiglia piccolo-borghese, ma operaia che non può permettersi troppi fuori budget. Anzi praticamente non se ne può permettere e basta. Ma quella mania non mi dava tregua. Esistevamo solo io e la roba. Come nella novella di Verga, Mazzarò…hai presente? 

Il danno economico dello shopping compulsivo arriva fino al reato

I soldi cercavo di trovarli in tutti i modi: li prendevo dalla borsa di mia madre, dal portafogli di mio padre, me li facevo prestare, addirittura nella fase più acuta della compulsione sono arrivata a pensare di prostituirmi. L’unico impegno della mia esistenza era comprare. Non ero mai soddisfatta.

Anche perché a quelle botte di eccitazione (che duravano un attimo), di onnipotenza cretina, seguivano sempre delle crisi pazzesche: sensi di colpa, nausea,attacchi di  ansia a tutte le ore del giorno. Mi vergognavo tantissimo di me stessa, ma soprattutto sapevo di deludere la mia famiglia, ma la “coazione a ripetere”, l’assuefazione a rifare ogni volta lo stesso gesto, comprare-posare-di nuovo comprare si era impadronita di me. Volevo sfidare me stessa, i miei limiti di sopportazione umana forse. Non lo so. Ma mi disprezzavo profondamente. Questo la gente non lo capisce. 

L’atteggiamento comune verso lo shopping patologico è quasi sempre superficiale. C’è uno snobbismo pauroso,  che certo non aiuta chi soffre di consumopatia ad ammettere il disagio e decidersi a curarsi. Lo shopping patologico per molti è una patologia immaginaria, egoismo da spendaccioni, figli di papà, gente vizia che non dà valore ai soldi. Altri invece lo considerano una psicopatologia minore, che può essere risolta banalmente. Basta togliere i soldi e chiudere in camera o legare alla sedia la ragazza o il ragazzo (sì perché lo shopping patologico è anche maschile, diciamolo). Niente di più sbagliato, la sottovalutazione butta solo benzina sul fuoco e, soprattutto, crea marginalizzazione.

Specie oggi che la società ci sottopone a pressione estetiche fortissime. Questa è la moda? Bene, o sei dentro o sei fuori. Ma nessuno vuole rimanere ai margini, perché la solitudine è quello che di peggio un giovane possa temere per se stesso. Lo shopper patologico compra sulla spinta di una solitudine interiore già forte, stigmatizzarlo come viziato o superficiale significa emarginarlo in una maniera addirittura più dolorosa e traumatica. Nel mio caso lo shopping era una droga, comprare significava allontanare il vuoto. La mia camera era una discarica, un accumulo abnorme di oggetti di qualunque genere, il più delle volte tutte cose mai usate. Pensavo solo a cosa comprare e come fare per procurarmi i soldi per fare gli acquisti. 

Il mio vuoto era esistenziale creato dallo shopping compulsivo

Sono figlia unica  e sentirmi bella per me ha sempre rappresentato un modo per socializzare, interessare, essere avvicinata dai miei coetanei. I miei genitori sanno che ho sempre sofferto questa cosa ed erano molto disponibili con me, forse troppo. Ma non me la sento di accusare loro. Lo facevano perché si sentivano in colpa anche loro.Non respiravo più, ero schiava della roba, dell’acquisto. Pensa che il giorno della mia laurea ero più soddisfatta del fatto che avrei potuto finalmente lavorare ed essere economicamente indipendente,e spendere tutto ciò che avrei voluto, piuttosto che godermi il riconoscimento dell’obbiettivo raggiunto (mi sono laureata con 110 e lode).

Ma presto avrei scoperto che erano tutte speranze mal riposte. Il lavoro non è arrivato, ma il mio shopping compulsivo è peggiorato e la mia famiglia non riusciva più a sopportare la situazione: ho venduto tantissimi oggetti e ricordi della loro casa pur di comprare quello che credevo “l’ultimo” paio di stivali texani… Invece non sarebbe stato l’ultimo. Avevo accumulato debiti su debiti (qualcuno mio padre lo sta ancora pagando) e il mio problema, stava distruggendo la mia vita, e quella della mia famiglia. Era giunto il momento di fare qualcosa. La psicoterapia dinamica è stata la mia salvezza, ma non è stato facile. Ho dovuto combattere, dapprima per ammettere a me stessa quello che già sapevo: essere malata.

Ho fatto questo percorso psicologico, per tre lunghissimi anni, ma oggi a 28 anni posso dirmi guarita.Vado in giro per negozi, ma compro solo ciò che mi serve.

Ho capito che scaricare sugli oggetti le proprie frustrazioni non è la terapia, ma solo il sintomo più evidente che c’è qualcosa da fare. Che devi correre ai ripari perché quel disagio sta diventato più forte di te, che ti sta uccidendo l’anima. Nonostante adesso io stia bene, la paura di ricadere in questo tunnel talvolta mi assale ma cerco di non abbattermi, di fare forza su quella consapevolezza che prima non avevo e che ora per fortuna ho trovato.

Nel mio piccolo posso solo consigliare a ragazze e ragazzi, ma soprattutto ai genitori di fare attenzione! Non sottovalutate certi comportamenti. Non censurateli, non sottostimateli. Certe condotte vanno prese per tempo e trattate clinicamente prima che sia troppo tardi. L’oniomania viene ritenuta sintomo di egoismo non è così. Si tratta di disagio, senso di inadeguatezza, solitudine. Sforzatevi di capir e ed intervenite consultando i giusti esperti, è l’unico modo per superare il problema.”

a cura di Matteo Napoli

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Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei nostri lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. La Storia Controcampus è un periodico d’informazione universitaria, tra i primi per diffusione. Ha la sua sede principale a Salerno e molte altri sedi presso i principali atenei italiani. Una rivista con la denominazione Controcampus, fondata dal ventitreenne Mario Di Stasi nel 2001, fu pubblicata per la prima volta nel Ottobre 2001 con un numero 0. Il giornale nei primi anni di attività non riuscì a mantenere una costanza di pubblicazione. Nel 2002, raggiunta una minima possibilità economica, venne registrato al Tribunale di Salerno. Nel Settembre del 2004 ne seguì la registrazione ed integrazione della testata www.controcampus.it. Dalle origini al 2004 Controcampus nacque nel Settembre del 2001 quando Mario Di Stasi, allora studente della facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno, decise di fondare una rivista che offrisse la possibilità a tutti coloro che vivevano il campus campano di poter raccontare la loro vita universitaria, e ad altrettanta popolazione universitaria di conoscere notizie che li riguardassero. Il primo numero venne diffuso all’interno della sola Università di Salerno, nei corridoi, nelle aule e nei dipartimenti. Per il lancio vennero scelti i tre giorni nei quali si tenevano le elezioni universitarie per il rinnovo degli organi di rappresentanza studentesca. In quei giorni il fermento e la partecipazione alla vita universitaria era enorme, e l’idea fu proprio quella di arrivare ad un numero elevatissimo di persone. Controcampus riuscì a terminare le copie date in stampa nel giro di pochissime ore. Era un mensile. La foliazione era di 6 pagine, in due colori, stampate in 5.000 copie e ristampa di altre 5.000 copie (primo numero). Come sede del giornale fu scelto un luogo strategico, un posto che potesse essere d’aiuto a cercare fonti quanto più attendibili e giovani interessati alla scrittura ed all’ informazione universitaria. La prima redazione aveva sede presso il corridoio della facoltà di giurisprudenza, in un locale adibito in precedenza a magazzino ed allora in disuso. La redazione era quindi raccolta in un unico ambiente ed era composta da un gruppo di ragazzi, di studenti (oltre al direttore) interessati all’idea di avere uno spazio e la possibilità di informare ed essere informati. Le principali figure erano, oltre a Mario Di Stasi: Giovanni Acconciagioco, studente della facoltà di scienze della comunicazione Mario Ferrazzano, studente della facoltà di Lettere e Filosofia Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna nei pressi della stessa università di Salerno. Nei giorni successivi alla prima distribuzione, molte furono le persone che si avvicinarono al nuovo progetto universitario, chi per cercarne una copia, chi per poter partecipare attivamente. Stava per nascere un nuovo fenomeno mai conosciuto prima, Controcampus, “il periodico d’informazione universitaria”. “L’università gratis, quello che si può dire e quello che altrimenti non si sarebbe detto”, erano questi i primi slogan con cui si presentava il periodico, quasi a farne intendere e precisare la sua intenzione di università libera e senza privilegi, informazione a 360° senza censure. Il giornale, nei primi numeri, era composto da una copertina che raccoglieva le immagini (foto) più rappresentative del mese, un sommario e, a seguire, Campus Voci, la pagina del direttore. La quarta pagina ospitava l’intervista al corpo docente e o amministrativo (il primo numero aveva l’intervista al rettore uscente G. Donsi e al rettore in carica R. Pasquino). Nelle pagine successive era possibile leggere la cronaca universitaria. A seguire uno spazio dedicato all’arte (poesia e fumettistica). I caratteri erano stampati in corpo 10. Nel Marzo del 2002 avvenne un primo essenziale cambiamento: venne creato un vero e proprio staff di lavoro, il direttore si affianca a nuove figure: un caporedattore (Donatella Masiello) una segreteria di redazione (Enrico Stolfi), redattori fissi (Antonella Pacella, Mario Bove). Il periodico cambia l’impaginato e acquista il suo colore editoriale che lo accompagnerà per tutto il percorso: il blu. Viene creata una nuova testata che vede la dicitura Controcampus per esteso e per riflesso (specchiato), a voler significare che l’informazione che appare è quella che si riflette, quello che, se non fatto sapere da Controcampus, mai si sarebbe saputo (effetto specchiato della testata). La rivista viene stampa in una tipografia diversa dalla precedente, la redazione non aveva una tipografia propria, ma veniva impaginata (un nuovo e più accattivante impaginato) da grafici interni alla redazione. Aumentarono le pagine (24 pagine poi 28 poi 32) e alcune di queste per la prima volta vengono dedicate alla pubblicità. Viene aperta una nuova sede, questa volta di due stanze. Nel Maggio 2002 la tiratura cominciò a salire, fu l’anno in cui Mario Di Stasi ed il suo staff decisero di portare il giornale in edicola ad un prezzo simbolico di € 0,50. Il periodico era cosi diventato la voce ufficiale del campus salernitano, i temi erano sempre più scottanti e di attualità. Numero dopo numero l’obbiettivo era diventato non più e soltanto quello di informare della cronaca universitaria, ma anche quello di rompere tabù. Nel puntuale editoriale del direttore si poteva ascoltare la denuncia, la critica, la voce di migliaia di giovani, in un periodo storico che cominciava a portare allo scoperto i risultati di una cattiva gestione politica e amministrativa del Paese e mostrava i primi segni di una poi calzante crisi economica, sociale ed ideologica, dove i giovani venivano sempre più messi da parte. Disabilità, corruzione, baronato, droga, sessualità: sono questi alcuni dei temi che il periodico affronta. Nel 2003 il comune di Salerno viene colto da un improvviso “terremoto” politico a causa della questione sul registro delle unioni civili, “terremoto” che addirittura provoca le dimissioni dell’assessore Piero Cardalesi, favorevole ad una battaglia di civiltà (cit. corriere). Nello stesso periodo Controcampus manda in stampa, all’insaputa dell’accaduto, un numero con all’interno un’ inchiesta sulla omosessualità intitolata “dirselo senza paura” che vede in copertina due ragazze lesbiche. Il fatto giunge subito all’attenzione del caporedattore G. Boyano del corriere del mezzogiorno. È cosi che Controcampus entra nell’attenzione dei media, prima locali e poi nazionali. Nel 2003 Mario Di Stasi avverte nell’aria segnali di cambiamento sia della società che rispetto al periodico Controcampus. Pensa allora di investire ulteriormente sul progetto, in redazione erano presenti nuove figure: Ernesto Natella, Laura Muro, Emilio C. Bertelli, Antonio Palmieri. Il periodico aumenta le pagine, (44 pagine e poi 60 pagine), è stampato interamente a colori, la testata è disegnata più piccola e posizionata al lato sinistro della prima pagina. La redazione si trasferisce in una nuova sede, presso la palazzina E.di.su del campus di Salerno, questa volta per concessione dell’allora presidente dell’E.di.su, la Professoressa Caterina Miraglia che crede in Controcampus. Nello stesso anno Controcampus per la prima volta entra nel mondo del Web e a farne da padrino è Antonio Palmieri, allora studente della facoltà di Economia, giovane brillante negli studi e nelle sue capacità web. Crea un portale su piattaforma CMS realizzato in asp. È la nascita di www.controcampus.it e l’inizio di un percorso più grande. Controcampus è conosciuto in tutti gli atenei italiani, grazie al rapporto e collaborazione che si instaura con gli uffici stampa di ogni ateneo, grazie alla distribuzione del cartaceo ed alla nuova iniziativa manageriale di aprire sedi - redazioni in tutta Italia. Nel 2004 Mario Di Stasi, Antonio Palmieri, Emilio C. Bertelli e altri redattori del periodico controcampus vengono eletti rappresentanti di facoltà. Questo non permette di sporcare l’indirizzo e linea editoriale di Controcampus, che resta libera da condizionamenti di partito, ma offre la possibilità di poter accedere a finanziamenti provenienti dalla stessa Università degli Studi di Salerno che, insieme alla pubblicità, permettono di aumentare gli investimenti del gruppo editoriale. Ciò nonostante Controcampus rispetto alla concorrenza doveva contare solamente sulle proprie forze. La forza del giornale stava nella fiducia che i lettori avevano ormai riposto nel periodico. I redattori di Controcampus diventarono 15, le redazioni nelle varie università italiane aumentavano. Tutto questo faceva si che il periodico si consolidasse, diventando punto di riferimento informativo non soltanto più dei soli studenti ma anche di docenti, personale e politici, interessati a conoscere l’informazione universitaria. Gli stessi organi dell’istruzione quali Miur e Crui intrecciavano rapporti di collaborazione con il periodico. Dal 2005 al 2009 A partire dal 2005 Controcampus e www.controcampus.it ospitano delle rubriche fisse. Le principali sono: Università, la rubrica dedicata alle notizie istituzionali Uni Nord, Uni Centro e Uni Sud, rubriche dedicate alla cronaca universitaria Cominciano inoltre a prender piede informazioni di taglio più leggero come il gossip che anche nel contesto universitario interessa. La redazione di Controcampus intuisce che il gossip può permettergli di aumentare il numero di lettori e fedeli e nasce cosi da controcampus anche una iniziativa che sarà poi riproposta ogni anno, Elogio alla Bellezza, un concorso di bellezza che vede protagonisti studenti, docenti e personale amministrativo. Dal 2006 al 2009 la rivista si consolida ma la difficoltà di mantenete una tiratura nazionale si fa sentire anche per forza della crisi economia che investe il settore della carta stampata. Dal 2009 ad oggi Nel maggio del 2009 Mario Di Stasi, nel tentativo di voler superare qualsiasi rischio di chiusura del periodico e colto dall’interesse sempre maggiore dell’informazione sul web (web 2.0 ecc), decide di portare l’intero periodico sul web, abbandonando la produzione in stampa. Nasce un nuovo portale: www.controcampus.it su piattaforma francese Spip. Questo se da un lato presenta la forza di poter interessare e raggiungere un vastissimo pubblico (le indicizzazioni lo dimostrano), dall’altro lato presenta subito delle debolezze dovute alla cattiva programmazione dello stesso portale. Nel 2012 www.controcampus.it si rinnova totalmente, Mario Di Stasi porta con se un nuovo staff: Pasqualina Scalea (Caporedattore), Dora Della Sala (Vice Caporedattore), Antonietta Amato (segreteria di Redazione) Antonio Palmieri (Responsabile dell’area Web) Lucia Picardo (Area Marketing), Rosario Santitoro ( Area Commerciale). Ci sono nuovi responsabili di area, ciascuno dei quali è a capo di una redazione nelle diverse sedi dei principali Atenei Italiani: sono nuovi giovani vogliosi di essere protagonisti in un’avventura editoriale. Aumentano e si perfezionano le competenze e le professionalità di ognuno. Questo porta Controcampus ad essere una delle voci più autorevoli nel mondo accademico. Nel 2013 www.controcampus.it si aplia, il portale d'informazione universitario, diventa un network. Una nuova edizione, non più un periodico ma un quotidiano anzi un notiziario in tempo reale. Nasce il Magazine Controcampus, nascono nuovi contenuti: scuola, università, ricerca, formazione e lavoro. Nascono ulteriori piattaforme collegate alla webzine, non solo informazione ma servizi come bacheche, appunti, ricerca lavoro e anche nuovi servizi sociali. Certo le difficoltà sono state sempre in agguato ma hanno generato all’interno della redazione la consapevolezza che esse non sono altro che delle opportunità da cogliere al volo per radicare il progetto Controcampus nel mondo dell’istruzione globale, non più solo università. Controcampus diventa sempre più grande restando come sempre gratuito. Un nuovo portale, un nuovo spazio per chiunque e a prescindere dalla propria apparenza e provenienza. Sempre più verso una gestione imprenditoriale e professionale del progetto editoriale, alla ricerca di un business libero ed indipendente che possa diventare un’opportunità di lavoro per quei giovani che oggi contribuiscono e partecipano all’attività del primo portale di informazione universitaria. Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. Leggi tutto
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