Le migliori università e facoltà restano al nord, il sud trova enormi difficoltà a decollare da tutti i campi e profili. Intervista ai Rettori Laforgia e Riccaboni, un punto di vista di due rettori: migliori università al Nord e al Sud.
Classifica Censis Repubblica e Rapporto Anvur, stabiliscono che le migliori università sono al Nord, il Sud stenta a decollare.
Divulgate le classifiche Censis ed Anvur (Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) sulle migliori università e relative alla qualità delle università italiane.
Al di là di qualche lieve dicotomia oggettiva, dalle indagini emerge un dato chiaro e palpabile: fra Nord e Sud continua ad esserci una differenza abissale circa le migliori università.
L’Analisi dell’Anvur sulle migliori università, caratterizzata da un’indagine metodica relativa a 14 aree disciplinari, tende a premiare gli atenei settentrionali di Padova, Milano (Bicocca), Verona, Bologna, Pavia, Torino, Siena, Trento, Bolzano, Ferrara e Pisa (Sant’Anna e Normale).
Male, invece, le Università del Sud. Secondo i 450 esperti, la Valutazione della Qualità della Ricerca Universitaria (VQR) ha il pregio di offrire un’analisi dei dipartimenti degli Atenei e, al contempo, di consentire un confronto della qualità della ricerca nazionale con quella dei principali Paesi internazionali.
- Rapporto Anvur sulle Migliori Università – Classifica delle migliori università Italiane del Nord ottenuta sommando i risultati inerenti ai singoli ambiti disciplinari, dalla fisica alla matematica, fino alla psicologia.
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- Grandi:
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- I) Padova
- II) Milano Bicocca
- III) Verona
- IV) Bologna
- V) Pavia
- VI) Torino
- VII) Siena
- Medie:
- I) Trento
- II) Bolzano
- III) Ferrara
- IV) Milano San Raffaele
- V) Piemonte Orientale
- Piccole:
- I) Pisa S. Anna
- II) Pisa Normale
- III) Roma Luiss
- IV) Trieste Sissa
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- Classifica delle migliori università Italianedel Sud ottenuta sommando i risultati inerenti ai singoli ambiti disciplinari, dalla fisica alla matematica, fino alla psicologia.
- Grandi:
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- I) Napoli II
- II) Salerno
- III) Calabria
- IV) Bari
- V) Cagliari
- VI) Napoli Federico II
- VIII) Catania
- IX) Palermo
- X) Messina
- Medie:
- I) Sannio
- II) Foggia
- III) Basilicata
- IV) Catanzaro
- V) Napoli L’Orientale
- VI) Salento
- Piccole
- I) Napoli Benincasa
- II) Benevento Giustino
- III) Enna
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L’analisi della Censis sulle migliori università fa emergere da subito che la migliore Università del Nord è quella di Siena (103,4 punti di media, seguita da Trieste e Trento. Fra le Università del Sud, invece, degne di nota sono le Università di Sassari, Calabria e Salento. Ma le differenze fra Nord e Sud sono abissali. Il Mezzogiorno italiano è in crisi, obnubilato da un inesorabile declino. Il regresso universitario è la cartina al tornasole di un divario geografico tutt’altro che banale.
- Classifica delle migliori università Italiane (i voti vanno da 66 a 110):
- La top Ten degli Atenei del Sud
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- I posizione) Sassari 98,8
- II) Calabria 93,3
- III) Salento 88,4
- IV) Cagliari 87,3
- V) Basilicata 84,9
- VI) Sannio 79,4
- VII) Bari e Salerno 79,0
- VIII) Molise 78,2
- IX) Catania 77,4
- X) Messina, Catanzaro e Reggio Calabria 76,6
- La top Ten degli Atenei del Nord
- I) Siena 103,4
- II) Trieste 99,5
- III) Trento 98,1
- IV) Modena Reggio Emilia 96,1
- V) Pavia 94,1
- VI) Bologna 93,1
- VII) Camerino 92,6
- VIII) Macerata 92,5
- IX) Udine 91,6
- X) Marche 90,3
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Il divario tra Nord e Sud è ormai diventato una triste certezza. Generato da rilevanti diseguaglianze sociali e dicotomici retaggi storico-culturali, l’incolmabile gap tra Nord e Sud, per certi versi, riecheggia, seppur in scala minore, l’impareggiabile e nefasta contrapposizione tra il settentrione ed il meridione del globo terrestre. Al di là degli opinabili paragoni, ad inquietare e destare sconcerto, poi, è anche un altro dato: sempre secondo il Censis, il reddito medio di un abitante del Mezzogiorno sarebbe, addirittura, inferiore a quello di un normale abitante della Grecia, la nazione più colpita dalla crisi degli ultimi anni.
Secondo recenti statistiche, tra il 2008 ed il 2013, la crisi economico-finanziaria avrebbe accelerato il processo di riduzione del Pil nel Meridione italiano. Le analisi rivelano dati a dir poco sconcertanti: negli ultimi 6 anni, infatti, circa il 64% dei posti di lavoro sarebbero andati perduti ed il prodotto interno lordo, invece, avrebbe subito un calo del 10%.
Dunque, la crisi economica tracima dagli argini e straripa, come un fiume in piena, invadendo le flebili lande del meridione italiano. Ad essere travolte dall’inesorabile foga della debacle economica, non sono soltanto le industrie, ma anche le Università. Purtroppo, il divario economico tra atenei settentrionali e meridionali ha raggiunto soglie a dir poco colossali. Nel 2011, ad esempio, la Regione Lombardia ha rimpinguato le casse delle università territoriali con un finanziamento pari a 160 milioni di euro. Mentre, nello stesso anno, la Regione Puglia ne ha concessi soltanto 3. A distanza di oltre 150 anni dalla sua Unità, quindi, l’Italia sembra non aver ancora risolto del tutto la sua eterna questione meridionale. E questa non è di certo una notizia che faccia ben sperare.
L’Università di Siena fa da cartina al tornasole del lento ed inesorabile divario esistente tra Università del Sud e del Nord. Situata nel cuore della Toscana, culla del rinascimento culturale italiano, l’Università di Siena è, senza alcun dubbio, uno dei siti accademici più antichi d’Europa. Con i suoi oltre 760 anni di attività accademica, e con la sua splendida sede centrale, ubicata in via Banchi di Sotto, nell’ex Monastero di San Vigilio, martire della fede e santo della Chiesa Cattolica, il complesso universitario senese simboleggia gran parte del retaggio culturale italiano.
Non a caso, infatti, negli ultimi anni, l’Università di Siena ha ottenuto numerosi riconoscimenti, scelta tra le migliori università. Secondo la graduatoria pubblicata da Il Sole 24 Ore, nel 2012, l’ateneo toscano si troverebbe al terzo posto della classifica relativa agli atenei generalisti e le migliori università. Mentre, per la Repubblica (indagine Censis), Siena occuperebbe il primo posto nella classifica delle migliori università Italiane2013-2014 (103,4 media) concernente gli atenei di medie dimensioni. Ad incrementare ulteriormente l’elogio descrittivo dell’ateneo senese, poi, è la lista dei laureati e docenti celebri.
Al di là dell’evidente ed inesorabile divario relativo agli atenei del Sud e del Nord, però, c’è una piacevole sorpresa. Un’eccezione che invalida la regola e lancia messaggi di speranza. Non tutte le Università meridionali appaiono scalfite dall’infausto declino. L’Università del Salento, ad esempio, simboleggia il riscatto della cultura e dell’insegnamento accademico meridionali.
Al fin di comprendere e chiarire, nel migliore dei modi, le problematiche relative al divario tra Università del Sud e del Nord ed, al contempo, di far luce sull’atavica questione meridionale italiana, abbiamo deciso d’intervistare il Prof. Domenico Laforgia, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi del Salento ed il Prof. Angelo Riccaboni, Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Siena.
Prof. Laforgia, secondo Lei, è verosimile ipotizzare l’esistenza di un’antitesi culturale, strutturale ed organizzativa fra Università del Nord e del Sud? Ci parli dell’Università del Salento.
“Non credo si possa parlare di antitesi culturale, strutturale ed organizzativa tra Università del Sud e del Nord. Le differenze, quando ci sono, sono legate alla storia di ciascuna Università, al consolidamento della propria comunità e al radicamento territoriale. Una differenza sostanziale è nella missione. Le Università del Sud sono chiamate ad una terza missione, quella dello sviluppo territoriale a cui non vengono più chiamate da un pezzo le Università del Nord. Il territorio si attende un forte aiuto allo sviluppo. Gli enti territoriali chiedono supporto in quasi tutte le direzioni e la popolazione si aspetta che l’Università risolva tutti i problemi partendo da quelli economici, a causa dei quali dovrebbe offrire quasi gratuitamente i servizi didattici ai propri allievi perché godono di un PIL pari al 60% di quello delle regioni settentrionali”.
“Questa terza missione distrae fortemente i ricercatori meridionali che, dovendo rispondere adeguatamente alle richieste del territorio, alle volte sono distratti dai fondamentali compiti della ricerca scientifica e finiscono per produrre scientificamente di meno in termini di quantità non di qualità. Inoltre, sicuramente una seconda non trascurabile differenza è legata alla contribuzione studentesca che, a causa della differenza del PIL, ripropone analoga riduzione causando mancate entrate all’Università che nessun Ente territoriale è in grado di colmare.
L’Università del Salento, nel panorama meridionale, spicca per iniziativa e capacità di ricerca. Da qualche anno ha accelerato i processi di collaborazione industriale e conta ben 39 spin off che danno lavoro complessivamente a più di 400 laureati. La nostra Università è da annoverare tra quelle virtuose perché non ha debiti e ha i conti in pareggio pur scontando un cronico sotto finanziamento da parte governativa. Vi sono straordinarie eccellenze come le Nanotecnologie, l’energetica, la biologia, in particolare marina, e l’archeologia. Un punto di forza importante è nell’ambito dei Beni Culturali che ha fornito al territorio le basi per avviare un grande percorso di crescita attraverso l’attrazione turistica legata ai Beni Culturali ricchi nel Salento. Il corpo accademico è vivace e fortemente orientato all’internazionalizzazione. I nostri studenti sono la parte migliore di tutta l’Università e mostrano una non comune serietà ed una grande creatività. La città di Lecce ha avviato da tempo la trasformazione in città universitari ed offre un ottimo livello di accoglienza a tutti coloro che scelgono di venire a studiare da noi”.
Lei è un intellettuale, un uomo di scienza di origini meridionali. Cosa ne pensa dell’attuale disparità culturale ed economica fra i due storici blocchi geografici del Bel Paese?
“Ritengo che ci siano state ragioni strategiche per sostenere maggiormente le regioni settentrionali all’indomani dell’unità d’Italia. Per i primi 100 anni le risorse non sono state distribuite in maniera non equilibrata e questo ha determinato lo squilibrio economico, non mi sento invece di sostenere che vi sia una differenza culturale, ma al più esiste una forte differenza nell’approccio verso lo Stato. Nelle regioni meridionali la cosa pubblica non è percepita come bene comune, ma anzi come qual cosa da depredare, e questa concezione non dipende soltanto da fattori culturali ma anche dalla percezione di uno Stato inteso come prevaricatore e in alcuni casi ostile. Nei decenni della Cassa del Mezzogiorno si è tentato un parziale riequilibrio delle risorse con discreti risultati, ma ancora una volta c’è stato un prelievo prevalentemente diretto verso il Nord delle risorse ordinarie che, così facendo, non ha consentito alle risorse straordinarie di ottenere i risultati attesi perché hanno assunto il compito di colmare le carenze generate dalla distribuzione non equilibrata di quelle ordinarie.
Ritengo che occorra completare la infrastrutturazione al Sud prima di tentare di colmare le differenze economiche, mentre per le differenze di attitudine verso la pubblica amministrazione occorre veramente rifondare le Pubbliche amministrazioni meridionali, troppo spesso dominate da un sindacalismo di basso profilo che protegge il privilegio e il diritto di percepire uno stipendio senza lavorare”.
Cosa ne pensa del Sistema Universitario Italiano e del precariato? L’Università del Salento è stata scalfita dal calo delle iscrizioni?
“Ritengo che il Sistema universitario italiano sia uno dei migliori del mondo, se non il migliore, perché produce laureati di un livello elevatissimo pur godendo di modeste risorse finanziarie. Nessun sistema concorrente di altri Paesi è in grado di fornire analogo livello di qualità dei laureati con simile impegno economico da parte del proprio Governo. La cattiva fama di cui recentemente gode l’Università italiana è ingiusta e priva di fondamento. Mi piacerebbe vedere qualcuno dei saccenti giornalisti esporre il proprio caso di cattiva esperienza universitaria spiegandocene il perché.
Assistiamo, invece, ad un continuo denigrare con luoghi comuni che ignorano il lavoro dei tantissimi, messi alla berlina per le cattive azioni dei pochi. I media non parlano quasi mai delle tantissime cose buone prodotte dalle Università, ma si gettano a corpo morto su tutti i più piccoli scandali pur di denigrare selvaggiamente un sistema che va bene e produce ottimi laureati. In Italia esistono cattivi comportamenti in ogni ambito, il familismo e il nepotismo sono malattie nazionali e il sistema universitario ne presenta nelle stesse percentuali del Paese, ma di qui a generalizzare mi sembra eccessivo e diffamante per coloro che servono il Paese con serietà e abnegazioni, formando splendidi giovani e producendo con poche risorse una ricerca apprezzata e competitiva in ambito internazionale. L’Università del Salento ha subito lo stesso decremento delle iscrizioni del resto del Paese ma nel’anno accademico in corso questa tendenza si è invertita e stiamo godendo di una crescita superiore al 4% delle immatricolazioni. La nostra Università, inoltre, ha adottato una strategia di riduzione dei fuoricorso che ha sortito i suoi effetti riducendo in modo significativo anche gli iscritti. La situazione, sottolineo a conti economici in perfetto pareggio, sta notevolmente migliorando la qualità degli studi con un significativo incremento degli studenti in corso”.
Prof. Riccaboni, da quando è diventato Rettore, l’Università di Siena ha ripreso la sua marcia trionfale, scalando diverse posizioni nella classifica delle migliori università Italiane. Potrebbe renderci edotti in merito all’importanza culturale dell’Università di Siena? Secondo Lei, è verosimile ipotizzare l’esistenza di un vero e proprio connubio storico tra l’ateneo senese e la cultura italiana?
“L’Università di Siena, che è una delle più antiche d’Europa, è nata in un periodo nel quale la città era una delle capitali del mondo occidentale, capace di creare capolavori architettonici e artistici di inestimabile pregio. In quel momento ci fu evidentemente precisa coscienza del valore che rappresentavano il sapere e insieme la necessità di trasmetterlo alle generazioni future. Il fatto che Ambrogio Lorenzetti nel Buon Governo abbia rappresentato un maestro e dei discenti, testimonia il significato profondo che alla cultura e al sapere veniva attribuito già allora come strumenti di evoluzione e di sviluppo sociale, economico e politico. Nei secoli successivi l’Università di Siena ha continuato ad essere un punto di riferimento per la cultura italiana ed europea. Vi sono molte testimonianze – molte delle quali conservate nei documenti del nostro archivio storico – di illustri personaggi che hanno compiuto qui i loro studi e molti studiosi stranieri hanno sempre scelto Siena per la loro specializzazione, come diremmo oggi, soprattutto per gli studi in campo medico e giuridico. Molti i nomi illustri anche tra i docenti, anche nelle epoche a noi più vicine, come Piero Calamandrei, Norberto Bobbio, Franco Fortini, Antonio Tabucchi e molti altri protagonisti della cultura italiana fino ai giorni nostri”.
Cosa ne pensa del Sistema Universitario Italiano e del precariato?
“In questi ultimi anni il sistema universitario italiano è stato sottoposto varie volte a riforme con lo scopo di rinnovarlo e renderlo competitivo rispetto ai sistemi dei paesi più avanzati. Evidentemente, questi processi non hanno raggiunto del tutto gli obiettivi e il lavoro che resta da fare è sicuramente molto. E’ un dato di fatto che negli ultimi anni l’Università nel suo complesso è sempre stata sottoposta a pesanti tagli nei finanziamenti pubblici. Tuttavia, nonostante molte difficoltà e il cronico sotto finanziamento, il sistema universitario italiano, complessivamente è uno dei più produttivi, tanto più se ne consideriamo le ridotte dimensioni rispetto a colossi come quelli del mondo statunitense o anglosassone. A questo proposito mi preme ricordare che l’Università di Siena, pur con le sue contenute dimensioni, è sempre censita nelle classifiche tra le migliori università del mondo. Ultimo in ordine di pubblicazione, cito il ranking URAP, redatto da un istituto di ricerca di Ankara, nel quale siamo per produttività scientifica al 366° posto nel mondo e al 14° su scala nazionale. Quanto al precariato, esso è purtroppo un fattore di grave instabilità nell’esistenza dei giovani, un fenomeno negativo dei nostri tempi, a cui vanno trovate soluzioni. Come Università di Siena ci stiamo impegnando con un progetto che va incontro ai giovani laureati, USiena Open, che mira a dare gratuitamente ai nostri laureati strumenti formativi concreti per l’approccio al mondo del lavoro, attraverso attività di orientamento e relazione che vedono anche la partecipazione di imprenditori, esperti della ricerca, rappresentanti degli organismi dei vari settori. L’obiettivo delle attività è insomma preparare al massimo al mondo del lavoro e anche alla cultura dell’imprenditorialità”.
Le opinioni espresse dai Rettori Laforgia e Riccaboni hanno il merito di chiarire l’importante retaggio storico-culturale delle Università di Siena e del Salento ed, al contempo, di porre l’accento sulla produttività del Sistema Universitario Italiano, che, nonostante la crisi degli ultimi anni ed, in particolare, il cronico sotto finanziamento, continua a raggiungere dei buoni risultati.