Oggi il totale degli asset finanziari”islamici” si aggira intorno a 1600 miliardi di dollari pari a circa l’uno per cento del totale delle attività finanziarie globali.
Ma per la fine dell’anno il loro valore potrebbe sfiorare i 1900 miliardi di dollari, visto che nel decennio la finanza islamica è cresciuta a tassi del 10-15 per cento.
Non si tratta certo di quisquilie, insomma, in questi tempi di crisi, con tanti paesi industriali indebitati in cerca di finanziatori. Tanto più importante, quindi, anche per l’Italia, approfondire i complicati nodi istituzionali collegati alla Finanza Islamica. Particolarmente interessante è infatti capire le modalità di sviluppo del mercato dei sukuk, i certificati finanziari islamici (l’equivalente delle nostre obbligazioni, comprese quelle pubbliche), che però, poiché la Sharia, la legge religiosa islamica, non consente il pagamento di interessi su un prestito, sono strutturati giuridicamente come titoli di proprietà di un attivo che genera flussi finanziari.
L’opportunità di attrarre capitali stranieri e l’intensità di legami commerciali e finanziari con la sponda Sud del Mediterraneo rende sempre più importante, per il nostro Paese e il suo sistema finanziario, essere preparato alla conoscenza e agli strumenti operativi per interagire con quei sistemi che obbediscono ai principi della finanza islamica.
Ma vi sono tre aspetti che attualmente rappresentano un freno per lo sviluppo della finanza islamica nel nostro continente.
- Il primo è nel campo della politica monetaria ed è connesso al fatto che la struttura dell’Eurosistema si basa su strumenti finanziari fondati sul tasso di interesse.
- Il secondo elemento, ha spiegato il numero uno della banca centrale italiana, è che le banche europee hanno l’obbligo di garantire uno schema di assicurazione dei depositi, mentre la giurisprudenza islamica non lo permette.
- L’ultima questione riguarda la corporate governance: da noi il consiglio d’amministrazione di una banca ha la responsabilità unica delle sue decisioni mentre nei paesi islamici c’è anche lo “Sharia board” che verifica la conformità delle scelte economiche alla legge religiosa.
Dal punto di vista dei servizi bancari, attualmente non sono presenti delle banche islamiche in Italia e l’offerta di prodotti e servizi Shari’ah compliant è insufficiente a soddisfare la domanda potenziale.
Sul piano normativo e strategico, il mercato italiano sconta notevoli ritardi rispetto agli altri paesi europei che invece si stanno adeguando. Un recente studio ha stimato che la raccolta potenziale da clienti musulmani possa raggiungere 4.500 milioni di euro nel 2015, con ricavi potenziali per il sistema bancario islamico per oltre 170 milioni di euro.
La potenziale domanda di prodotti e servizi finanziari islamici sopra menzionata non tiene conto del fatto che tali prodotti e servizi potrebbero essere richiesti anche da parte della popolazione non musulmana vista la loro eticità ed il loro forte legame con l’economia reale e, quindi, la domanda sarà sicuramente maggiore rispetto alle stime.
Dal punto di vista occupazionale, si prospetta all’orizzonte un’elevata richiesta di figure professionali esperte in finanza islamica (mediatori creditizi, promotori finanziari, bancari etc.).