Il progetto per operatore di canile e dog sitter nasce dalla volontà dell’Università degli Studi di Milano di creare strategie innovative di intervento sociale in ambito urbano, incentrate sulla relazione uomo-animale e finalizzate alla formazione professionale e al reinserimento lavorativo delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale presenti nella II Casa di reclusione di Milano – Carcere di Bollate nel settore degli animali domestici e delle produzioni animali.
Il convegno ha rappresentato un’occasione di confronto tra le parti attive nel progetto. Gli interventi di educazione assistita dal cane, oltre ad apportare i noti benefici della relazione uomo-animale, rappresentano il setting per l’attuazione di studi di zooantropologia, che contribuiscono alla ricerca scientifica attraverso la valutazione e lo studio del comportamento dei cani coinvolti e delle loro dinamiche comunicative con i detenuti, e per la formazione professionalizzante delle persone in stato di detenzione nel settore degli animali domestici. Durante i lavori, si è parlato del primo corso per operatore di canile e dog sitter, appena concluso, con il patrocinio del Comune di Milano, in collaborazione con gli istruttori cinofili dello CSEN-Centro Sportivo Educativo Nazionale, riconosciuto dal Coni, ed Ente Nazionale di promozione sociale con finalità assistenziali, riconosciute dal Ministero dell’Interno e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Gli 11 studenti del corso per operatore di canile e dog sitter, provenienti da alcuni reparti della sezione maschile del Carcere di Bollate, che hanno superato gli esami finali hanno ricevuto il diploma ed il tesserino tecnico CSEN e rappresentano i primi diplomati di questa categoria professionale in Italia.
Corso per operatore di canile e dog sitter per rieducazione e mercato del pet care
Sulla base dei dati resi noti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), alla data odierna nelle strutture penitenziarie del Comune di Milano risiedono 3.254 detenuti, che rappresentano circa il 35% della popolazione carceraria lombarda. Secondo una ricerca avviata a settembre 2012 presso la II Casa di Reclusione di Milano (Carcere di Bollate), su impulso del Sole 24 Ore e con la collaborazione del Ministero della Giustizia, da ricercatori dell’Università di Essex e dell’Einaudi Institute for Economics Finance (Mastrobuoni and Terlizzese, EIEF Working Paper 13/14 November 2014), l’accesso dei detenuti ad attività qualificanti, quali lo studio, la formazione professionale ed il lavoro, è in grado di ridurre significativamente la recidiva e, per questa via, la popolazione carceraria, con conseguenze importantissime in termini di risparmi, di miglioramento della sicurezza sociale e di riduzione del sovraffollamento carcerario. Lo stesso Ministro della Giustizia Andrea Orlando conferma l’importanza di queste attività “per l’attuazione del dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducativa e per orientare chi ha scontato la sua pena al reinserimento nel tessuto sociale ed economico-produttivo. I detenuti che in carcere non svolgono alcuna attività hanno nel momento del loro ritorno nella società un altissimo tasso di recidiva: la media scende invece drasticamente per chi ha seguito percorsi iniziati all’interno del carcere e proseguiti all’esterno in misura alternativa o nelle forme previste dall’art. 21 dell’Ordinamento penitenziario. I dati di esperienza dimostrano che l’effetto dell’inserimento sociale dei detenuti è dunque anche un fattore fondamentale per la sicurezza dei cittadini”.
Da qui, come gli stessi economisti Mastrobuono e Terlizzese sottolineano (Mastrobuoni and Terlizzese, EIEF Working Paper 13/14 November 2014), un’ulteriore conseguenza: investire su tali attività significa investire sulla crescita economica urbana, poiché a una maggiore sicurezza sociale corrisponde un clima più favorevole agli investimenti, sia italiani che esteri.
Per quanto concerne le attività di istruzione e lavoro, queste sono disciplinate dalla Legge 26 luglio 1975, n. 354, del 1975 agli articoli 19, 20 e 21, mentre le attività culturali, ricreative e sportive, tra cui rientrano anche gli interventi assistiti dal cane (pet therapy), trovano spazio nell’articolo 27, che al comma primo recita: “negli istituti di pena devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo”. La difficoltà nel predisporre progetti educativi per i detenuti sta nel riuscire a motivare i destinatari del progetto alla partecipazione e al contempo sviluppare sbocchi professionali spendibili nel mercato. In questo senso l’animale, soprattutto una creatura altamente sociale come il cane, rappresenta un’ottima opportunità, sia per l’interesse che può suscitare sia perché costituisce una preziosa chiave d’accesso al settore economico del cosiddetto pet care, relativo ai prodotti e ai servizi per la cura degli animali domestici, che contempla figure professionali molto richieste nell’area milanese, come conseguenza del continuo aumento del numero di animali da compagnia e della crescente attenzione pubblica riservata agli animali nell’area cittadina.
Secondo il Documento di Programmazione e Coordinamento dei Servizi Sanitari e Sociosanitari (DPCS) elaborato dall’Azienda Sanitaria Locale di Milano, per l’anno 2015, nella città di Milano si contano 96.356 cani, contro 59.457 bambini nella fascia di età 0/5 anni (Istat 2014). Il mercato del pet care è in continua espansione sia in termini di fatturato che di volumi acquistati, dimostrandosi uno dei pochi settori merceologici in controtendenza in questi tempi di crisi dei consumi. L’Italia, in questo contesto, è il Paese con il maggior mercato in Europa (+1,3% in termini di fatturato rispetto al mercato europeo medio).
Secondo quanto risulta da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano sui dati del registro delle imprese al quarto trimestre 2012 e 2011, la Lombardia è in testa a livello nazionale per numero di attività (13,3% del totale italiano), e un’impresa su tre ha base nella città di Milano. Questa città rappresenta quindi il luogo ideale per l’attuazione del presente progetto territoriale, per le reali possibilità concrete di futuro impiego che è in grado di offrire ai detenuti destinatari delle azioni previste, grazie alle risorse tangibili del territorio (tessuto produttivo locale, caratteristiche del mercato, caratteristiche della popolazione) che ne costituiscono i punti di forza. La statistica, inoltre, indica che i milanesi spendono per i loro animali 133 milioni all’anno, soprattutto in servizi quali asili diurni e pensioni, dog sitting, addestramento e corsi di formazione per operatori cinofili (D’Amico P., Corriere della Sera del 29 giugno 2010, pp. 10-11). In due ricerche effettuate dall’Università Statale su un campione nazionale complessivo di 3.000 proprietari di cani, e pubblicate su riviste scientifiche internazionali (Pirrone et al., Journal of Veterinary Behavior 2015; Pirrone et al., Dogbehavior 2015, in press), è emerso che a Milano il 45% dei proprietari utilizza abitualmente tali servizi.
Detto ciò, il settore lavorativo del pet care è ancora molto poco proposto all’interno delle carceri, nonostante esso si adatti bene alla realtà penitenziaria anche sul piano rieducativo. L’introduzione di questo settore lavorativo, infatti, si presenta vantaggiosa in quanto il pet care comprende attività e tipologie di lavoro che richiedono un’assunzione di responsabilità da parte della persona, per lo svilupparsi di un rapporto personale e di fiducia con gli animali e i loro proprietari.
Obiettivi psico-educativi favoriti dalla relazione con il cane e dall’interazione “guidata”, nell’ambito di una attività pratica mirata quale un corso professionalizzante, tra soggetti detenuti per diversa tipologia di reato:
- 1) crescita personale attraverso l’incremento dell’autostima, dell’autoefficacia e dell’autonomia dei detenuti;
- 2) miglioramento della qualità delle relazioni e della comunicazione interpersonale tra i detenuti e tra loro e le figure di riferimento nell’ambito del corso e del carcere;
- 3) creazione di un gruppo di lavoro improntato sulla didattica del cooperative learning;
- 4) formazione di figure professionali valide che ruotino intorno al mondo degli animali da compagnia.