Fin da quando fu annunciata su “Nature”, nel febbraio 2017, la scoperta esopianeti sembrò provare l’ipotesi, tanto paventata, dell’esistenza di una vita extraterrestre. Al di là cioè di quella che popola il pianeta terrestre.
I sette pianeti scoperti al di fuori del sistema solare (esopianeti vuol dire proprio questo) avrebbero, infatti, caratteristiche che li rendono in tutto e per tutto paragonabili alla Terra. Ai suoi compagni e che farebbero sembrare tutt’altro che assurda l’ipotesi di mondi abitabilioltre al nostro. Il nuovo gruppo planetario annunciato dalla NASA si troverebbe, innanzitutto, a una distanza di 40 anni luce dalla Terra. Sarebbe formato da oggetti che, nella maggior parte dei casi (sei su sette), hanno dimensioni molto simili a quella del nostro pianeta e una superficie rocciosa che ricorderebbe quella terrestre.
Scoperta degli esopianeti: com’è avvenuta e cosa c’è da sapere
Le somiglianze con il sistema solare, però, non si fermano qua. Gli esopianeti graviterebbero infatti attorno a TRAPPIST – 1, una stella nana rossa con massa pari all’8% di quella del Sole. Per questo, più piccola e più fredda (sebbene visibile dalla Terra, con appositi strumenti, nella costellazione dell’Acquario).
Non tanto fredda, comunque, da rendere impossibile l’esistenza di acqua allo stato liquido, nella forma di laghi e oceani, sulla superficie di almeno alcuni di questi pianeti. Contestualmente alla scoperta degli esopianeti, infatti, il gruppo di ricerca responsabile avrebbe dato annuncio della loro probabile vivibilità.
Nello specifico. Almeno tre dei sette esopianeti (i tre centrali, rinominati per prassi TRAPPIST – 1 e, f e g) si troverebbero in una zona abitabile e idonea allo sviluppo della vita. Per gli altri, le principali riserve non derivano solo dalla minore temperatura della nana rossa che fa da sole al nuovo gruppo planetario. Quanto anche dalle dimensioni ridotte delle orbite degli esopianeti. Queste non sarebbero infatti solo inferiori a quelle dell’orbita terrestre, ma addirittura a quelle dell’orbita di Mercurio, il pianeta più prossimo al Sole nel nostro sistema. Il dubbio è allora che soprattutto gli esopianeti più vicini a TRAPPIST – 1 siano troppo caldi e inospitali per qualsiasi forma di vita. Mentre l’ultimo dei sette sia al contrario troppo freddo per presentare acqua allo stato liquido ed essere quindi abitabile.
Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope
Molte domande e molti dubbi rimangono, comunque, ancora da risolvere quanto alla scoperta degli esopianeti. Scoperta che, come sempre avviene in ambito scientifico, è stata preceduta da una serie di indizi. Piccoli step che suggerivano l’esistenza di questo gruppo planetario al di fuori del sistema solare.
L’osservazione di TRAPPIST – 1, innanzitutto. Un gruppo di astronomi belgi teneva d’occhio da tempo la nana rossa grazie a un telescopio installato in Cile nei pressi di La Silla. Parliamo del Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope (in sigla appunto TRAPPIST, curiosa risonanza con la birra trappista, tipico prodotto belga). Proprio i periodici cambiamenti nella luminosità di TRAPPIST – 1 avrebbero fatto ipotizzare il passaggio di corpi che coprissero la stella almeno in parte e permesso al gruppo di ricerca, insieme ad altri parametri, di formalizzare infine l’esistenza degli esopianeti.