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Infermiera oggi con il Coronavirus all’ospedale San Carlo di Milano

D. S.
29/11/2024

Cosa  significa essere infermiera oggi durante l’emergenza Coronavirus, in un ospedale del nord come il San Carlo di Milano: paura, stress e rischi quotidiani che gli operatori sanitari sono costretti a fronteggiare.

Foto infermiera oggi con il Coronavirus

Foto infermiera oggi con il Coronavirus

Turni senza fine e il volto segnato dalle mascherine. Ne abbiamo parlato con Pasqualina Conte, infermiera visual all’ospedale San Carlo di Milano.

L’emergenza sanitaria ha messo in ginocchio l’intera economia mondiale ricadendo su tutti i comparti lavorativi. Ma l’aspetto più grave di questa situazione è ricaduta sulla Sanità con le migliaia di morti dovute ai contagi da Covid- 19.

La Sanità italiana è stata messa a dura prova. Tantissimi i reparti e gli ospedali di rianimazione costruiti in tempi brevi. Numerosi i medici richiamati al dovere e  la laurea  medicina è diventata abilitante al lavoro.

In questo contesto così critico, gli operatori sanitari sono costretti a lunghissimi turni di lavoro. Pasqualina Conte, infermiera visual, ha vissuto questo periodo come tutti i suoi colleghi: una pausa per prendere fiato, bere qualcosa o mettere qualcosa sotto ai denti e rimettere i calzari, il camice, i guanti, le mascherine, la cuffia, il caschetto. Il suo compito è gestire il flusso di pazienti, riducendo al minimo i tempi di attesa.

Incertezza e paura sono sentimenti comuni per entrambe le parti: per chi è in attesa di cure, e per chi invece si trova a gestire un nemico ancora sconosciuto. In alcuni ospedali c’è tutto il materiale necessario, in altri invece scarseggia. Il personale sanitario, proprio per il rischio di essere  fonte di contagio, dovrebbe essere più controllato. Ma spesso non c’è tempo. Si sta nel reparto, si corre, ma c’è apprensione. Il contagio rallenta, ma l’emergenza non è ancora finita.

Medici e infermieri non possono cedere il passo. Ma cosa significa fare l’infermiera in questa emergenza? Lo abbiamo chiesto a chi ha vissuto in prima persona alcuni dei momenti più tragici del nostro Paese.

Fare il medico o infermiera oggi ai tempi del Coronavirus all’ospedale San Carlo di Milano

Cosa significa fare il lavoro da infermiera durante il Coronavirus?

Molti medici e infermieri stanno pubblicando foto sui social in cui mostrano i segni delle mascherine protettive sul volto.

Non riguarda solo la dedizione verso i pazienti, le prescrizioni da svolgere, i controlli da fare. Significa fatica, impegno, sudore.  I dispositivi di protezione individuale sono faticosi da indossare, specialmente per tante ore consecutive.

Le mascherine fanno male e durante il turno non puoi andare in bagno o fare le normali pause. Ad inizio turno bisogna organizzare la giornata di lavoro. Oramai i colleghi sono diventati una famiglia. Le corse, le preoccupazioni, l’impegno per rimettere tutto in ordine e in sicurezza fanno parte della giornata tipo di una infermiera.

Bisogna pulire tutto dopo aver controllato ogni paziente. Quando si effettuano i tamponi bisogna assicurarsi di spingere bene in entrambe le narici e di avere i guanti. A fine turno inizia a mancare l’ossigeno, arriva la fame e  la stanchezza. Una stanchezza che ti accompagna  a casa insieme allo stress. Ma quando tutto finirà, le persone si ricorderanno di loro? Si ricorderanno dei turni infiniti, dell’amore versato, della vicinanza avuta? Ma soprattutto  la sanità sarà una priorità su cui investire?

Pasqualina Conte,  reparto Covid-19 dell’ospedale San Carlo di Milano

Pasqualina Conte

La sveglia, la colazione, un bacio a distanza al figlio Andrea, 9 anni, lasciato ai genitori di una collega che sono diventati i nonni adottivi.

Chiusa la porta, inizia  la corsa in ospedale per il turno  anche di dodici ore nella fase acuta dell’emergenza coronavirus.

Ma come si vive da infermiera questa emergenza? Pasqualina ci racconta : “E’ da 50 giorni che non abbraccio e bacio mio figlio”.

“Lo proteggo indossando sempre una mascherina in casa perché se pur negativa, non so domani cosa mi aspetterà. In questi giorni i reparti covid stanno per chiudere ma, tra i colleghi si sa benissimo che non è il caso di abbassare la guardia. In pronto soccorso manteniamo e perfezioniamo nuovamente percorsi distinti “covid” e “no-covid”, noi siamo comunque quelli in prima linea.”

Pasqualina continua: “Mi fermo e tiro un sospiro di sollievo, alzo gli occhi al cielo, un nodo in gola e mi abbasso quella maledetta mascherina. Sono lì, respiro a pieni polmoni. E’ sera e il silenzio è rotto solo dal rumore del bus lento che passa e non più dalle decine di sirene della ambulanze che continuavano ad arrivare. Sembra passato questo tsunami, “forse”, “vedremo”,  “non si sa”. E se penso a una seconda ondata mi tremano le gambe. Ma questa sera no, non ho voglia di pensare alle fasi, perché in questi 3 mesi più che mai ho dimenticato di esistere come persona.”

Come è cambiata la vita di un infermiera con il Coronavirus

L’emergenza sanitaria ha modificato le vite e le abitudini delle persone. Per chi ha combattuto in prima linea, la paura più grande è dover rivivere l’emergenza. L’Istituto superiore di sanita’ , infatti, ipotizza una seconda ondata da ottobre 2020. Il  picco dell’infezione è nella fase di discesa  ma c’è bisogno di attenzione.  E’ necessario  identificare e diagnosticare i casi sospetti precocemente e tempestivamente. Ma come è cambiata la vita di chi lavora tra i reparti di un ospedale Covid?

A risponderci è Pasqualina Conte, infermiera a Milano: ” Devo riappropriarmi di un corpo che ho trascurato, di una personalità che ho spesso dovuto reprimere. Devo affrontare scelte per la mia vita e quella di mio figlio e “agire”. Penso che davvero ogni giorno sia regalato, e spesso siamo noi stessi a regalarcelo, quindi: il tempo non si spreca più! Ora che mi sto ritrovando penso a chi vuole far finta che nulla sia successo o, peggio, che sia stata tutta una montatura e proprio a loro vorrei dire di non buttare via i sacrifici di chi in ospedale e non solo, come me, ha aiutato a superare la crisi, le paure, le vittime del covid, gli abbracci non dati, i morti che si è portato via.

Pasqualina conclude: “Lo sforzo deve essere di tutti, le vostre azioni salvano me e chi ha aiutato tanti altri a salvarsi. Chi festeggia per la libertà ritrovata senza rispettare le norme di sicurezza, sappia che i primi ad avere il diritto di festeggiare sono le persone che sono sopravvissute alla malattia e chi ha messo a repentaglio la propria vita per salvarli e lo vuole fare con la sicurezza di non doversi ritrovare più nello stesso incubo!”

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Daniela Saraco Sona una donna, una madre, una docente. Scrivo di scuola e di formazione perché è il mio mondo quotidiano. La Direzione di Controcampus mi ha affidato la rubrica sulla scuola, per aiutare a capire meglio le notizie che raccontano la realtà scolastica, con pochi e semplici passaggi: • Cronaca, ossia il racconto dei fatti interessanti accaduti nel mondo della scuola • Inchiesta, è l'approfondimento di un tema attraverso ricerche e interviste. • Intervista, è interessante fare due chiacchiere con una persona particolare che ci può raccontare un'esperienza o una sua opinione. Perché è così difficile raccontare la scuola sui giornali? Perché è difficile trovare giornalisti davvero specializzati nel settore, che ha le sue caratteristiche peculiari e anche il suo lessico giuridico. Far scrivere un articolo sulla scuola a qualcuno che non sa cosa sia un PTOF, ignora le direttive delle ultime circolari ministeriali, non conosce la differenza fra un concorso abilitante per entrare in ruolo e uno aperto solo agli abilitati è come affidare la spiegazione di un discorso finanziario a un giornalista che non mastica neppure i termini base dell'economia. Gli articoli che riguardano la scuola e i suoi problemi, solitamente, nelle redazioni ormai sono affidati in molti casi a cronisti generici. Questo perché, mancando pagine specializzate e un interesse continuativo per il settore, l'articolo parte quasi sempre da un fatto specifico di cronaca spicciola avvenuto in tale o tal altro istituto, e che viene portato a conoscenza dei media da persone estranee alla scuola stessa. Io, invece, essendo ferrata sulle normative del settore e sui termini tecnici e avendo una memoria storica consolidata di quanto è avvenuto in precedenza, racconto episodi e avvenimenti di cui capisco la reale sostanza. Una scuola non ha un ufficio stampa o un addetto ai rapporti con i media, il Ministero non interviene se non con scarni comunicati che riguardano cose sue, i Presidi si trovano a dover rispondere a domande che rischiano di toccare particolari aspetti della privacy degli alunni e che, se rivelati incautamente, possono avere pesanti ripercussioni sulle vite di ragazzi spesso minorenni. Ecco perché risulta importante e necessario far scrivere di scuola a chi la scuola la fa! Leggi tutto
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