“Lara Lugli, pallavolista licenziata perché incinta”. “Friuli. Donna incinta perde il lavoro, mandata a casa”. Solo alcuni dei titoli che hanno suscitato scalpore, rispetto a diritti e tutele della donna -madre a lavoro.
Quali sono i diritti di una futura o neo madre lavoratrice? Si può licenziare una dipendente donna incinta? La legge tutela le donne lavoratrici durante e dopo la maternità, innanzitutto con il divieto al licenziamento dall’inizio della gravidanza fino ad un anno dopo la nascita del bambino.
Non esiste il pericolo di disoccupazione di una donna incinta o per la madre che lavora. Almeno, in teoria, perché non mancano i casi in cui sono previste deroghe. Nella realtà avere un bambino in Italia, per una lavoratrice, implica ancora troppe rinunce, demansionamento e discriminazioni.
A dirci cosa fare in caso di licenziamento in gravidanza e maternità, quali sono leggi, diritti e doveri di una donna lavoratrice, incinta o neo mamma, è l’avvocato amministrativista Francesco Leone.
Divieto licenziamento in gravidanza e maternità fino al primo anno del figlio in assenza di giusta causa
La legge prevede il divieto di licenziamento in gravidanza e maternità fino al compimento di un anno di età del bambino. Una donna non può essere licenziata se non in presenza di grave giusta causa.
“Tra le tutele più importanti per le lavoratrici dipendenti in attesa di un figlio, c’è il divieto di essere licenziati, che si estende fino a un anno di età del bambino. –Fa sapere l’avvocato Francesco Leone e continua -.
Tuttavia esistono dei casi in cui la lavoratrice madre può essere licenziata anche nel periodo protetto. Parliamo quindi di deroghe alla regola generale del divieto. Le uniche ipotesi in cui è consentito nonostante la maternità sono:
- Colpa grave che comporta il licenziamento per giusta causa.
- Cessazione dell’attività d’impresa.
- Esito negativo del periodo di prova.
- Ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta.
- Scadenza del termine nei rapporti di lavoro a tempo determinato.
Fuori da questi casi, la donna ha diritto ad essere reintegrata nel posto di lavoro. Inoltre, il D. lgs 151/2001 stabilisce che è nullo il licenziamento in maternità intimato a:
- Lavoratrice madre nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il compimento di un anno di età del bambino.
- Lavoratrice o lavoratore a causa della domanda o del godimento del congedo parentale. O per malattia del bambino.
- Lavoratore padre sino al compimento di un anno di età del figlio nel caso in cui abbia usufruito del congedo di maternità in luogo della madre.
È opportuno precisare che il divieto di essere licenziati opera anche in caso di adozione/affidamento. E fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.”
Per cui come ci spiega l’avvocato Leone, in assenza di giusta causa, anche quando sussiste un giustificato motivo per colpa del lavoratore, il licenziamento in gravidanza o maternità è nullo. Lo ha confermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2004/2017.
Diritti e tutele dalla donna incinta o neo madre lavoratrice
Prima ancora che sapere cosa fare in caso di licenziamento in gravidanza o maternità, è opportuno che una donna incinta o neo mamma lavoratrice conosca quale legge tutela i suoi diritti e cosa prevede Inps e NaSpi in materia.
L’avvocato Leone ci spiega quali sono i diritti di una donna in attesa di un figlio e fino al 3 anno di vita del bambino, quali tutele sono previste per la neo madre a lavoro.
“La normativa di tutela del lavoro femminile è ora riunita nel D. Lgs. Del 26 marzo 2001 n. 151. “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Il decreto legislativo (come modificato nel 2009) prevede che le lavoratrici dipendenti incinte possano assentarsi dal lavoro per 5 mesi.”
“Con la Legge di bilancio del 2019, alle donne è riconosciuta totale flessibilità. Si può lavorare anche fino al giorno del parto. E stare a casa nei 5 mesi successivi alla nascita del figlio.”- Spiega l’avvocato Francesco Leone e continua-
“La lavoratrice madre può assentarsi legittimamente dal lavoro per eseguire test clinici, ecografie e quant’altro ancora sia funzionale. Questi permessi sono retribuiti. A condizione che possano essere eseguiti esclusivamente durante l’orario di lavoro.”
“Il Divieto assoluto di lavoro notturno per le donne incinte e fino ad un anno di età del bambino. In più, la lavoratrice madre può chiedere l’esonero dal lavoro notturno fino al 3° anno di età del bambino. Con diritto di accoglimento automatico.”
“Sono vietati tutti quei lavori che prevedono il contatto con agenti chimici, fisici e biologici pericolosi. Carichi pesanti, postura incompatibile con lo stato interessante e turni stressanti. La lavoratrice può essere spostata ad altre mansioni, con mantenimento di retribuzione e qualifica. Se questo non è possibile, può essere disposta l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di gestazione. Fino al compimento dei sette mesi di età del figlio. In tutti questi casi si ha diritto alla maternità anticipata.” – Fa sapere l’avvocato Leone.-
Congedo di maternità e permesso per allattamento
L’INPS prevede il congedo di maternità per le donne incinte, oltre alle altre tutele e diritti e il divieto di licenziamento in gravidanza: vediamo cos’è e come funziona.
“La donna lavoratrice incinta può (anzi si deve) richiedere il congedo di maternità. Ovvero il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Durante questo periodo la lavoratrice percepisce un’indennità sostitutiva. Questa indennità è pagata dall’INPS.– Fa sapere l’avvocato Francesco Leone e continua -.
“Si può godere di altri due strumenti per dedicarsi alla cura del figlio: il permesso per allattamento o il congedo parentale. Il primo consiste in alcune ore di permesso giornaliere da utilizzare per posticipare l’orario di entrata o anticipare l’orario di uscita dal lavoro. Il secondo, invece, consiste in giorni di permesso retribuiti che possono essere goduti sia dal padre che dalla madre.”
“Durante il congedo di maternità è il datore di lavoro ad anticipare l’indennità sostitutiva, di cui però si fa carico l’INPS. L’importo non è pari a quello dello stipendio. Durante questi 5 mesi, infatti, la lavoratrice dipendente ha diritto a un’indennità pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera.” – continua l’avvocato -.
E’ importante quindi valutare tutti gli elementi che esistono nel mondo del lavoro per tutelare una donna lavoratrice in attesa di un figlio, congedi, rischi, aiuti e stipendio.
“Madre e padre hanno diritto a un periodo di congedo per prendersi cura della prole fino al compimento del 12° anno di età. Il periodo di congedo previsto per legge è 10 mesi complessivi. Tale periodo può essere fruito in maniera frazionata o continuativa ed è retribuito dall’INPS”.
“Le lavoratrici madri, poi, hanno diritto a dei permessi speciali post parto chiamati comunemente “permessi allattamento”. Anche se non servono esclusivamente a soddisfare i bisogni alimentari del bambino. Le mamme lavoratrici possono chiedere fino a 2 ore al giorno di permesso retribuito per il primo anno di vita del figlio. In caso di parto gemellare il periodo di riposo giornaliero può essere raddoppiato.” – Informa l’avvocato Leone -.
Cosa fare in caso di licenziamento in gravidanza e maternità
Nonostante le tutele nel mondo del lavoro per le madri, come leggi che prevedono il divieto del licenziamento in gravidanza e maternità, le donne sono ancora vittime di ingiustizie: allontanamento, demansionamento o discriminazioni.
Cosa fare quando si viene licenziati in gravidanza o maternità o durante i primi anni di vita del bambino non per giusta causa? Quali sono gli strumenti della madre lavoratrice in questo caso?
“Le conseguenze nel caso in cui il giudice accerti la nullità della destituzione sono diverse. Reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro. Il risarcimento dei danni subiti. Il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.” – Spiega l’avvocato Leone.-
“Per ottenere le tutele citate la lavoratrice deve impugnare il licenziamento. L’impugnazione può essere proposta direttamente dalla lavoratrice o dal sindacato cui aderisce. Dev’essere impugnato entro 60 giorni dalla sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto idoneo. A pena di inefficacia dalla data di spedizione dell’atto di impugnazione deve seguire il deposito del ricorso giudiziale. O la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.” – Puntualizza l’avvocato, presentando tutti i passaggi.-
“Nel caso in cui la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o le parti non raggiungano alcun accordo, il ricorso al giudice dev’essere depositato entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.”
Dimissioni volontarie per gravidanza e maternità e disoccupazione
Come abbiamo visto, le lavoratrici incinte o neo madri possono utilizzare alcuni mezzi per tutelarsi ed evitare ad esempio il licenziamento in gravidanza.
Ma comunque, per diversi motivi, la donna lavoratrice incinta può richiedere le dimissioni volontarie durante la maternità, con un modulo o una lettera. Come funziona in questo caso?
“In caso di dimissioni volontarie presentate dall’inizio del periodo dello stato interessante fino al compimento di un anno di età del bambino, a norma dell’art. 54. La lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento in gravidanza. La richiesta di dimissioni deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.” – Fa sapere l’avvocato Leone.-
A questo proposito esistono anche norme che regolano l’erogazione dell’indennità di disoccupazione (NaSpi) in maternità o in gravidanza della madre lavoratrice. Come funziona?
“Spesso molte lavoratrici incinte o neo mamme si chiedono se possono lasciare volontariamente il posto di lavoro. E percepire il sostegno contro la disoccupazione (NaSpi) per prendersi cura del neonato. O per avvicinarsi alla data del parto con maggiore serenità. La risposta a questo quesito, in linea generale, è positiva.” – Dice l’avvocato”-.
“Si tratta di un principio importante riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Può essere esercitato da 300 giorni prima della data presunta del parto. E fino al compimento del primo anno di vita del figlio. Per accedere al sostegno economico bisogna tuttavia rispettare due condizioni importanti. Numero uno, possedere contributi per almeno 13 settimane nei 4 anni che precedono la cessazione del rapporto di lavoro. In secondo luogo, possedere 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.”- Conclude l’avvocato Francesco Leone.