“Nepotismo all’università, l’Italia è prima in classifica”. “Università italiana ancora in ostaggio del nepotismo.” “Per andare avanti bisogna avere un certo cognome!”
Sembrano titoli inerenti a qualcosa lontano nel tempo, e invece no! Si tratta, purtroppo, di fatti di attualità. Il mondo dell’Università e del lavoro, nel nostro paese, si porta spesso sulle spalle il peso schiacciante di nepotismo e baronato accademico.
Cattedre tramandate di generazione in generazioni. Figli che prendono i posti dei padri e dei nonni. Senza che nessuno si opponga, il fenomeno scorre lento e ingiusto. Seppur la problematica sia ampiamente nota sul territorio nazionale, troppi sono i casi che restano all’oscuro. O, peggio, scoperti ma impuniti.
Una ricerca del 2011 ha dimostrato la gravità del fenomeno tra i lavoratori accademici e universitari. Alcune discipline nelle università italiane mostravano una grave scarsità di cognomi. Specialmente Legge, Medicina e Ingegneria. Su 60.288 docenti italiani, infatti, c’erano settemila casi di omonimia. Difficile credere che fosse solo una casualità.
Com’è possibile che non si riesca a sradicare quest’abitudine illegale? La magistratura, una volta scoperta la rete di parentopoli all’Università, cosa fa? Certo, i fascicoli vengono aperti e le indagini avviate. Tuttavia, quasi mai arrivano a compimento. Il motivo? Spesso perché norme e tempi rendono impossibile il corretto corso della giustizia.
Parliamo dell’argomento con la professoressa Caterina Miraglia, titolare di cattedra all’Università di Salerno, facoltà di Giurisprudenza. E con l‘Avvocato Amministrativista Michele Bonetti, specializzato in diritto amministrativo e nel pubblico impiego.
Nepotismo universitario e nel lavoro: le università con parenti in cattedra, dove sono in Italia
Parliamo del significato di nepotismo e baronato all’università oggi, talmente radicato da costruire delle vere e proprie “parentopoli universitarie”, in cattedra, nel lavoro e negli atenei si ripetono serie e serie di cognomi uguali. Un male così radicato ha origini profonde nel nostro paese. E ancora pochissime soluzioni.
In Italia il fenomeno appare concentrato nel 10% degli atenei nazionali. Ad oggi, specialmente in alcune regioni. Quali, in primis, Puglia, Campania e Sicilia. Seguono nell’avvilente classifica, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte. E, ancora, Toscana, Lombardia e Sardegna. Per quanto riguarda le facoltà, secondo recenti studi sembra che nepotismi e baronati si concentrino in quelle di Chimica e Medicina. Ma emergono numerose anomalie anche per Giurisprudenza, Biologia, Economia. Ma anche Agraria ed Ingegneria.
Famoso il caso della perquisizione dei carabinieri presso il Policlinico di Bari nei primi anni 2000. Fu scoperto uno schema con 16 concorsi per professore ordinario o associato, banditi da 10 atenei in ogni parte d’Italia. Il tutto fu ritrovato sulla scrivania di un docente. Appariva, nello schema, il nome del vincitore e del vate che lo promuoveva.
Sempre a Bari, nel 2004, ci fu un enorme scandalo nel ramo di Cardiologia. Ci furono indagini e numerosi arresti. Ma, dopo più di dieci anni, non risulta nemmeno un primo grado di giudizio.
A seguito di questi eventi, nell’Università di Bari dal 2007 è stato istituito un codice etico. Quest’ultimo è finalizzato ad eliminare i casi di parentele tra professori di cattedra. I risultati certamente ci sono stati, ma in maniera del tutto circoscritta! Poiché, nel tacco del nostro stivale, il fenomeno è tutt’altro che sparito.
Dal punto di vista nazionale, fondamentale è la Legge Gelmini 240 per nepotismo e baronato negli atenei. Questa stabilisce una norma, all’art.18. Che proibisce l’assunzione di parenti fino al quarto grado all’interno dello stesso dipartimento. Grazie a questo provvedimento, il fenomeno è sensibilmente diminuito in Italia.
Perché nepotismi e parentopoli sono mali delle università
Una serie di cognomi ripetuti innumerevoli volte nel tempo. Una cattedra occupata da figli di figli, nipoti, parenti. Occupare un posto in maniera illegittima, solo per un legame di parentela. Ed escludere, dunque, chi ne è meritevole. Ma che ha un cognome differente. Ecco il significato di nepotismo e baronato all’università, fenomeni che oggi persistono tristemente nell’università italiana, costruendo delle vere e proprie “parentopoli dei prof”.
Come si dovrebbe intervenire nel pratico per arginare questa problematica? Lo chiediamo all’Avvocato Michele Bonetti.
“Il tema è sicuramente uno di quelli più a lungo dibattuto. Che anima sempre l’opinione pubblica e scandalizza i salotti. Ma che sino ad oggi non ha mai trovato un reale impegno da parte delle Istituzioni, tutte. La risposta è forse banale. M allo stesso tempo la più impegnativa che si possa dare. Semplicemente una vera e nuova meritocrazia.“- Risponde l’avvocato -.
“Attraverso modalità selettive serie. E l’applicazione di alcune valvole di salvaguardia. Per evitare che a vincere il concorso sia il figlio del Primario. O il nipote del primo professore. Credo che in primis sia una questione culturale. Più che di volontà. In realtà anche l’opinione pubblica sembra avere ad oggi quasi, inconsciamente, accettato tale dinamica. Come parte del sistema.”- Sostiene l’Avvocato Bonetti.-
“Se esistesse un criterio meritocratico, la baronia e i nepotismi verrebbero meno. Si è totalmente smarrito l’ideale del merito. Per il raggiungimento di un certo risultato. Ottenuto con sacrificio.”– Afferma anche la professoressa Caterina Miraglia.-
“Il problema esiste ed è radicato, inutile nasconderlo. Ad oggi le professioni si “fanno” così. Con enorme superficialità.”- Ammette la docente.-
“Per risolvere la situazione parentopoli all’Università, sarebbe necessario stabilire delle regole generali. I concorsi universitari nazionali, in questo senso, credo siano migliori di quelli locali. Si amplia la platea, i giudicanti, la concorrenza. Bisogna creare un sistema in grado di ridurre le compromissioni. E ritornare ad un sistema di maggiore ampiezza.“
Come salvare l’università da nepotismo e baronato: il punto del legale
Come abbiamo visto, purtroppo, i fenomeni di nepotismo e baronato nelle università italiane oggi, da Bari fino al nord sono largamente diffusi. Ma come si può risolvere questa problematica? Dal punto di vista legale, quali sono gli “step” da seguire per denunciare?
“Le strade sono quelle più disparate. Dalla denuncia alle Autorità penali dei fatti. Al fine di perseguire i reati verificatisi. Che possono andare dal peculato a quelli di corruzione. Falso in atto pubblico e via discorrendo. Oppure si può anche ricorrere al Giudice Amministrativo. Per l’annullamento degli atti concorsuali. Nel caso del candidato che partecipi ad un concorso. E si senta vittima di una attività illegittima.”- Chiarisce l’Avvocato Bonetti.-
“Ovviamente trattasi di due tipologie di azioni differenti. Con l’azione penale si ha l’obiettivo di perseguire le condotte penalmente rilevanti. Interpellando il Giudice Amministrativo si può ottenere l’annullamento degli atti amministrativi. E quindi o la ripetizione e la rivalutazione della prova. O, addirittura, nei casi più eclatanti, l’annullamento del concorso. Si possono addirittura segnalare le pratiche scorrette. Seguite dagli Atenei all’Autorità Nazionale di Anticorruzione. Al fine di sollecitare un controllo anche tramite ispezione. Per verificare i fatti denunciati. Ed un intervento dell’Autorità.”- Spiega Michele Bonetti.-
“Ovviamente i tempi processuali non sempre seguono le esigenze del singolo. E spesso sono dettati, soprattutto per il penale, dalla necessità di effettuare le indagini. Ossia di acquisire le prove necessarie all’eventuale rinvio in giudizio. Successivamente, la prova si forma all’interno del dibattimento. Nel contraddittorio tra le parti. Con le ritualità proprie del processo. E quindi con la necessità di un lasso temporale lungo.”- Ci dice l’Avvocato, spiegando il motivo delle tempistiche dilatate.-
“Per la giustizia amministrativa i tempi sono più brevi. Almeno teoricamente. In quanto si può chiedere che il Giudice emani un provvedimento cautelare provvisorio. Ovvero un provvedimento di urgenza. Nell’attesa dell’accertamento del merito della vicenda se sussistono i requisiti del fumus boni iuri. E del periculum in mora.”– Conclude l’avvocato Michele Bonetti.-